Rassegna Stampa

27 marzo 2019

Autonomia differenziale

Un dossier del servizio studi del Senato

Fonte: regioni.it

Per la XVIII legislatura – quella in corso – le intese raggiunte e quelle “in costruzione” per il raggiungimento di un’autonomia differenziata per alcune Regioni potrebbe rappresentare uno scoglio o un’opportunità, a seconda di come si vogliano leggere i fatti della politica.  E’ comunque un processo  destinato a  rimanere di attualità politico-istituzionale anche per il ” fatto che nel programma di Governo è espressamente prevista l’attuazione del regionalismo differenziato” come sotttolinea  l’ultimo dossier pubblicato dal Servizio Studi del Senato , dedicato proprio al “Processo di attuazione del Regionalismo differenziato” che offre “un aggiornamento dello stato dell’arte del processo alla vigilia della presentazione della proposta di intesa che il Governo intende sottoporre ai Presidenti delle regioni interessate”.
Un crocevia, quest’ultimo, fondamentale su cui si innesta un altro e più spinoso dibattito relativo al ruolo del Parlamento rispetto proprio a tale proposta di intesa. Per il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana (in audizione nella commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, sull’autonomia finanziaria delle Regioni e l’attuazione dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione) non ci dovrebbero essere molti dubbi: E’ la Costituzione che dice che la legge viene approvata sulla base di un accordo fra Regioni e Governo. Come può essere emendato un accordo intercorso tra soggetti che sono diversi rispetto all’emendatore, uno dei quali non è neanche presente per potere sostenere le ragioni per le quali in quell’accordo è stata scritta una data cosa? Mi permetto sommessamente di dire che la possibilità per il Parlamento di emendare l’intesa sarebbe giuridicamente, una violazione di uno dei principi fondamentali del diritto. Io sono convinto che il Parlamento ha ben diritto di intervenire, magari dando delle linee generali, dei principi rispetto ai quali l’accordo fra Governo e Regioni possa essere realizzato, ma poi l’accordo deve essere messo nelle mani del Parlamento per accettarlo o non accettarlo. Mi sembra che – ha concluso Fontana – la grandissima rilevanza sta proprio nel fatto che il Parlamento può non accettare l’accordo fra Governo e Regioni, è un suo diritto e mi sembra che la massima espressione di sovranità venga proprio rappresentata dalla possibilità di non accettare l’accordo.
Un aiuto alla comprensione della portata e delle procedure relative al processo in corso arriva proprio dal Dossier del Servizio studi del Senato che fra gli obiettivi che persegue fa rientrare  un preciso richiamo all’orientamento del Governo, della Conferenza delle regioni, e delle regioni interessate.

Ripercorrendo le tappe della precedente legislatura il dossier ricorda che “oltre alle tre regioni che hanno sottoscritto gli accordi preliminari, ve ne sono altre che hanno deliberato di avviare i negoziati con il Governo. Più precisamente: 7 regioni ordinarie hanno formalmente conferito al Presidente l’incarico di chiedere al Governo l’avvio delle trattative per ottenere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. Si tratta di Campania, Liguria, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana e Umbria: con esse il Governo potrebbe avviare immediatamente i negoziati. 4 regioni hanno assunto iniziative preliminari (consistenti nell’approvazione di atti di indirizzo) senza tuttavia giungere ad una formale approvazione di un mandato. Si tratta di Basilicata, Calabria, Puglia e Molise. Soltanto la regione Abruzzo non risulta ad oggi aver intrapreso iniziative formali per l’avvio della procedura ex art.116, terzo comma, della Costituzione”.

“Nelle comunicazioni rese alle Camere in occasione della fiducia espressa al Governo in carica, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato che fra gli impegni dell’Esecutivo vi è l’attuazione dell’art.116, terzo comma, nei confronti delle regioni che ne facciano motivata richiesta, precisando l’intenzione di assecondare i processi in atto.  Le mozioni di fiducia, presentate al termine delle richiamate comunicazioni e approvate dalle Camere, contengono in premessa un richiamo all’esigenza di impegnare l’Esecutivo ‘in un’azione di governo fondata sul ‘Contratto di governo’, conforme al suo contenuto ed in coerenza al suo profilo programmatico’.

Nel contratto di governo l’impegno di attribuire maggiore autonomia alle regioni è considerato prioritario e si specifica che:
– il riconoscimento delle ulteriori competenze dovrà essere accompagnato dal trasferimento delle risorse necessarie per un autonomo esercizio delle stesse;
– alla maggiore autonomia […] dovrà accompagnarsi una maggiore responsabilità sul territorio, in termini di equo soddisfacimento dei servizi a garanzia dei […] cittadini e in termini di efficienza ed efficacia dell’azione svolta;
– il percorso è teso a rafforzare il regionalismo, attraverso l’applicazione della “logica della geometria variabile che tenga conto sia delle peculiarità e delle specificità delle diverse realtà territoriali sia della solidarietà nazionale”.
Infine – si legge nel Dossier – “l’attuazione dell’art.116, terzo comma, è peraltro una delle principali linee di intervento dell’Esecutivo di cui si dà conto nella Nota di aggiornamento al DEF 2018.

La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nella seduta del 18 ottobre 2018, ha approvato il documento ‘Le Regioni e le nuove sfide del regionalismo’  in cui si “auspica che sia dato seguito alle richieste di maggiore autonomia provenienti da tutte le regioni (non solo quelle firmatarie dei preaccordi) e che sia individuata una procedura unitaria”. Certamente “Occorre tener conto delle specificità, delle esigenze e della vocazione territoriale di ciascuna regione, nel rispetto dei principi di adeguatezza e sussidiarietà, di unità giuridica ed economica dello Stato, di solidarietà sociale, con l’obiettivo di favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona e la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni, dando piena attuazione ai principi di solidarietà economica e sociale, dignità e eguaglianza dei diritti civili e sociali”.
Insomma “Va garantita una differenziazione efficiente e sostenibile dando piena attuazione all’art. 119 Cost. e all’art. 1473 della legge n. 42 del 2009. Nello specifico:
– le risorse destinate alle regioni che beneficeranno di maggiore autonomia “devono avere una correlazione con le ulteriori funzioni riconosciute” alla regione, “a cui devono essere stabilmente collegate”;
– le modalità di finanziamento dovranno basarsi su compartecipazioni o riserva di aliquota relativamente al gettito di tributi erariali maturati nel territorio della regione;
– occorrerà garantire il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni in tutte le regioni, incluse quelle con minore capacità fiscale, attraverso il sistema di redistribuzione interregionale delle risorse74;
– l’attribuzione delle risorse dovrà essere definita da un’apposita Commissione paritetica Stato-regione”.

Per questui motivi “È centrale coniugare il principio di differenziazione con il principio di leale collaborazione. Al riguardo, si evidenzia che quest’ultimo comporta il rafforzamento degli attuali meccanismi di raccordo e confronto con il Governo, oggi assicurato dal sistema delle Conferenze, per il quale la Conferenza auspica una sua “collocazione presso il Senato” e il rafforzamento della cooperazione interistituzionale per il quale viene  evocato “il ruolo partecipativo delle Regioni ai lavori della Commissione parlamentare per le questioni regionali, introdotto con la modifica del regolamento di funzionamento del dicembre 2015”.

Oggi “la trattativa fra il Governo e le regioni interessate è in fase avanzata” e si è dato conto – nei giorni scorsi – delle tre bozze di intesa sulle quali si è registrata la convergenza delle Parti e il cui articolato è limitato alle Disposizioni generali (ad esse dovà fare seguito la parte di dettaglio sulle materie).  Testi che – si legge nel dossier -presentano una identica struttura, consistente in una premessa e in Titoli.  Il Titolo I – unico, ad oggi, ad essere stato ufficialmente reso noto nella versione concordata con il Governo – reca le “Disposizioni generali”.

Per quanto concernela fase attuativa “Si prevede l’istituzione, con Dpcm (da adottare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di approvazione dell’intesa), di una Commissione paritetica Stato-Regione, composta di nove rappresentanti di nomina governativa (designati dal Ministro per gli Affari regionali) e di altrettanti indicati dalla Giunta regionale (art. 3)”.  A tale Commissione “è affidato il compito di determinare, entro 120 giorni dalla sua istituzione, le risorse finanziarie, umane e strumentali, nonché le forme di raccordo con le amministrazioni centrali, necessarie per l’esercizio delle funzioni oggetto di autonomia differenziata”.  Si prevede poi “che, con uno o più Dpcm, su proposta del Ministro per gli Affari regionali, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, siano trasferiti beni e risorse, determinati dalla Commissione paritetica (art. 4).  Tale trasferimento comporta la contestuale soppressione o il ridimensionamento, in rapporto a eventuali compiti residui, dell’amministrazione statale periferica nonché delle amministrazioni statali centrali”.

Per quanto riguarda poi le “risorse necessarie all’esercizio delle funzioni oggetto di autonomia differenziata (art. 5), come negli Accordi preliminari, viene affidato alla Commissione paritetica il compito di determinare le modalità per l’attribuzione delle risorse in termini di: 1) spesa sostenuta dallo Stato nella regione; 2) fabbisogni standard da determinarsi, per ogni materia, entro un anno dalla data di entrata in vigore degli specifici decreti di trasferimento di beni e risorse (di cui all’art. 4).

Si prevede che, qualora i fabbisogni standard non siano individuati entro tre anni dalla entrata in vigore dei decreti di trasferimento di beni e risorse, l’ammontare delle risorse assegnate alla regione per l’esercizio delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia non possa essere inferiore al valore medio nazionale pro capite della spesa statale per le medesime funzioni.
Nell’intesa viene aggiunta la clausola di invarianza finanziaria, per la quale dall’applicazione delle intese non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Come negli Accordi preliminari continua ad essere previsto, a garanzia del finanziamento delle nuove competenze, l’utilizzo (anche congiunto) della compartecipazione al gettito Irpef o di eventuali altri tributi erariali maturato nel territorio regionale ovvero delle aliquote riservate, nell’ambito di quelle previste dalla legge statale, sulla base imponibile dei medesimi tributi riferibile al territorio regionale.

Le intese dispongono che sia di competenza delle regioni l’eventuale variazione di gettito maturato nel territorio regionale dei tributi  compartecipati o oggetto di aliquota riservata rispetto alla spesa sostenuta dallo Stato nella regione (o rispetto a quanto riconosciuto alla regione sulla base dei fabbisogni standard).

Al contempo, affidano alla Commissione paritetica una verifica biennale della congruità delle compartecipazioni e delle riserve di aliquota prese a riferimento per la copertura dei fabbisogni standard”.

Quanto “agli investimenti (art. 6), come nei preaccordi, si assicura una programmazione certa del loro sviluppo, conferendo allo Stato e alla regione facoltà di determinare congiuntamente modalità per assegnare risorse (anche nella forma di compartecipazione al gettito di tributi erariali o crediti di imposta) disponibili sui fondi destinati allo sviluppo infrastrutturale del Paese”.
“Si introducono disposizioni di raccordo tra la legislazione statale e quella regionale (art. 7).  In particolare: la normativa statale vigente che disciplina le materie oggetto di forme e condizioni particolari di autonomia continua ad applicarsi fino all’entrata in vigore delle disposizioni regionali; le leggi regionali, nelle materie oggetto di autonomia differenziata, sono tenute ad indicare espressamente le disposizioni statali la cui efficacia cessa con l’entrata in vigore delle disposizioni regionali; le leggi regionali di attuazione dell’intesa, in conformità al principio di leale collaborazione, devono essere comunicate al Ministro per gli Affari regionali prima dell’approvazione definitiva da parte del Consiglio regionale”.

Infine una novità rispetto alle pre-intese è costituita dal fatto che “Viene meno il termine di durata decennale dell’intesa stabilito nei preaccordi.  Pertanto le funzioni trasferite rimarrebbero in capo alla regione a tempo indefinito e comunque fintanto che, a Costituzione invariata, le Parti decidano, eventualmente, di sottoscrivere una nuova intesa da recepire con legge ai sensi dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione”.

27 marzo 2019

Condividi: