Rassegna Stampa
06 aprile 2020
Rezza (Iss), vecchio piano pandemico inadeguato
Fonte: Agi
Il piano pandemico non è mai stato aggiornato e comunque non andrebbe bene perchè è stato fatto per dare risposta a un virus, quello influenzale, che è molto diverso da quello che è in circolazione per il quale vanno prese misure ad hoc. Lo ha spiegato all’AGI Giovanni Rezza, direttore del dipartimento malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità.
“Da molte parti in questi giorni si sta animando una polemica in merito al cosiddetto piano pandemico. Una polemica che però non ha molto senso – ha chiarito Rezza – dal momento che nessun paese ha comunque mai aggiornato il suo e che il vecchio piano pandemico è stato disegnato per far fronte a una pandemia causata da un virus influenzale, per esempio H1N1, (che è quello che ha causato la pandemia del 2009-2010 n.d.r.) che però non è adatto a far fronte alla situazione attuale.
Un esempio? Non prevede questi provvedimenti di chiusura, i lockdown, che invece sono messi in atto ormai in tutti i paesi colpiti dal Sars-Cov-2”. Al posto del piano pandemico esistono una serie di piani che delineano una serie di interventi che sono però riservati e delineano una serie di scenari derivanti da modelli matematici che ci dicono dove dobbiamo dislocare le risorse. Ma non è questo lo strumento che verrà utilizzato per decidere quando e come uscire dal lockdown” ha chiarito Rezza.
“Il punto – aggiunge Rezza – è che noi europei non siamo preparati. A parte Giappone Corea, Cina si è trovato preparato davanti all’epidemia. Quelli che lo sono stati di più sono quelli che si sono trovati maggiormente coinvolti nella recente epidemia di Sars nel 2002-2003 e che hanno capacità decisionali più imperative (sono dittature) o hanno un livello maggiore di tecnologia e di disponibilità di personale preparato, come, per esempio la Corea, che è stata in grado di mobilitare risorse altamente specializzate in una serie di attività decisive, come per esempio fare i tamponi o la ricostruzione delle catene di trasmissione e di integrarlo con le migliore tecnologie. La Corea non è solo una app, anzi, è tutto un sistema che si è rivelato essere molto efficace in termini di risposta”.
Il problema, secondo Rezza “è anche che a noi manca una capacità di risposta sul campo, per esempio come i coreani, che sono molto più attrezzati di noi, soprattutto rispetto alle strutture che abbiamo sul territorio, le ASL”.
“Manca chi va a fare i tamponi, chi va a fare contact tracing, chi si occupa cioè di tenere sotto controllo l’epidemia proprio lì dove si sta sviluppando. E’ questo il punto ed è qui che – spiega Rezza – occorre rafforzare la nostra risposta. La parte territoriale delle Asl e dei dipartimenti di prevenzione che sono carenti è importante ed è questo il problema vero e nella fase due è ancora più importante rafforzare queste strutture”.
Nelle fase due “l’attività di controllo del territorio – ha ammonito Rezza – è decisiva, perchè dobbiamo essere in grado di intervenire tempestivamente e di individuare eventuali insorgenze di nuovi focolai per poterli contenere con efficacia”.
Per quanto concerne l’avvio di una vera e propria fase due per Rezza “spetta ai politici decidere come riattivare il paese, noi possiamo solo proporre che questa riapertura venga fatta in sicurezza. Per esempio si dovrà continuare in ogni caso a mantenere delle misure come per esempio il distanziamento sociale, anche sui mezzi pubblici e sui luoghi di lavoro, l’uso delle mascherine, e soprattutto, ove possibile il lavoro a distanza”.