Rassegna Stampa

04 ottobre 2020

L’impatto del fattore k sulla pandemia

Fonte: ilpost.it

Sappiamo che la gran parte dei contagi è legata a singoli eventi e super diffusori e questo influenza le strategie da adottare per contenerli

In questi ultimi mesi abbiamo imparato termini scientifici mai sentiti prima, nomi di virologi prima sconosciuti e i significati di alcune semplici nozioni alla base del racconto e dell’analisi di un’epidemia. Tra questi c’è stato R, il numero di cui a lungo parlavano tutti e ancora oggi al centro delle valutazioni sull’andamento della pandemia: quello che indica la media di persone contagiate da un portatore del virus (e che ha significati un po’ diversi a seconda che sia indicato come R0 o Rt). Ma c’è un numero che, col passare dei mesi e l’aumentare delle cose che sappiamo del coronavirus e di come si trasmette, potrebbe essere ancora più importante di R, nonostante rimanga largamente sconosciuto: è k, il cosiddetto “fattore di dispersione”, un concetto di cui si è parlato talvolta anche sui giornali (e anche sul Post) ma che secondo l’Atlantic è comunque «la variabile trascurata che è la chiave della pandemia».

Con il coronavirus, poche persone ne infettano molte
Il problema nell’usare R come unico parametro per valutare lo stato dell’avanzamento dell’epidemia di COVID-19 risiede nei meccanismi di trasmissione che, sulla base di quello che abbiamo capito fin qui, sembrano caratterizzare il coronavirus. La sua diffusione, infatti, segue andamenti e traiettorie piuttosto complicate da decifrare, poco lineari: basta pensare a come si sia infiltrato in modo capillare nella popolazione lombarda, e quanto invece abbia quasi risparmiato il Centro e il Sud Italia nei primi mesi di epidemia. Oppure perché certe città, senza motivazioni evidenti, siano state colpite con intensità imparagonabili a centri urbani di dimensioni simili e nelle stesse aree.

04 ottobre 2020

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