Rassegna Stampa

08 giugno 2021

La riabilitazione per chi ha perso l’olfatto dopo il coronavirus

Fonte: ilpost.it

È complessa e dall’efficacia ancora incerta: in Italia coinvolge duemila persone che dopo l’infezione non sentono più gli odori

Negli ultimi mesi anche gli ospedali italiani, come molti altri nel mondo, hanno studiato nuovi protocolli e trattamenti per il recupero dell’olfatto compromesso o perso completamente a causa di un’infezione da coronavirus. È un problema noto dall’inizio dell’epidemia e considerato uno dei sintomi più comuni e meno preoccupanti, soprattutto se paragonato alle conseguenze sull’apparato respiratorio. Nella maggior parte delle persone contagiate questa condizione, che tecnicamente si chiama “anosmia”, si risolve in un tempo relativamente breve, di un paio di settimane. Ma ci sono pazienti che segnalano questo problema anche a distanza di molti mesi e con conseguenze rilevanti: l’anosmia ha un notevole impatto sulla vita quotidiana e può portare a disturbi psicologici come ansia e depressione.

Come spiega anche l’Istituto superiore di sanità, diagnosticare l’anosmia è difficile: spesso la persona che ne soffre non si accorge dei disturbi o giudica il fastidio non grave. Per questo non esiste una stima ufficiale del numero di casi di anosmia nella popolazione e fino allo scorso anno erano pochissimi i casi trattati negli ospedali. Solitamente l’anosmia è causata dall’ostruzione del naso causata da secrezioni o da formazioni dette polipi nasali. Può anche essere dovuta a traumi, malattie degenerative o malattie genetiche rare. Quando non si perde totalmente l’olfatto, ma gli odori vengono percepiti in modo sbagliato, si parla di “parosmia” e anche in questo caso ci sono diversi livelli di gravità dei sintomi.

08 giugno 2021

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