Rassegna Stampa

21 ottobre 2021

La mia quarantena nel sistema cinese per azzerare i contagi

Fonte: internazionale.it

Al sesto giorno di quarantena in una stanza d’albergo a Tianjin, dove mi hanno portato direttamente dall’aeroporto, arriva la telefonata del sostegno psicologico: “Dormi bene? Mangi?”, chiede una donna in tono gentile e premuroso. Rispondo che dormo e faccio tanti sogni. “Bene, significa che sei felice”. Tornato in Cina dall’Italia dopo più di un anno, devo passare attraverso la “quarantena centralizzata”, come la chiamano qui: due settimane in una stanza d’albergo per chi sbarca nel paese, tre per chi è diretto a Pechino, che in quanto capitale va salvaguardata più di altre città. Il sospetto è che questi “alberghi della quarantena” prima languissero senza clienti e ora sono invece una delle più gioiose manifestazioni del corona-business. Perché ovviamente l’intera trafila è a spese nostre, visto che siamo noi a voler tornare in Cina a ogni costo.

A sovrintendere il tutto è come sempre la mobilitazione di massa, cioè le decine di addetti in tuta bianca, mascherina, occhiali, mani e piedi cellofanati, di cui non si distingue neppure il sesso finché non parlano. Ci prendono all’aeroporto, ci spostano, ci rinchiudono, ci nutrono, ci esaminano, per tre settimane. Diligenti, premurosi, quasi affettuosi, come chi gestisce la chat di Weixin (WeChat) dove tutti gli ospiti dell’hotel possono pubblicare lamentele e richieste e attraverso cui riceviamo direttive e comunicazioni di vario genere.

In un’intervista pubblicata il 4 marzo 2020, Bruce Aylward, responsabile del team dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che aveva appena visitato Wuhan, dichiarava al New York Times: “La Cina è molto brava a mantenere le persone vive”. Concordo, ci tengono vivi, anche psicologicamente, e lo fanno bene.

21 ottobre 2021

Condividi: