L’intersindacale medica, veterinaria e sanitaria boccia i 16 punti, con qualche eccezione, del documento riguardante la carenza di medici specialisti che le Regioni presentano oggi al Ministro della Salute.Un’ammucchiata di proposte, alcune palesemente indecenti, prive di una gerarchia di priorità ma tutte finalizzate a pagare il lavoro medico al massimo ribasso, proponendo per una diagnosi sostanzialmente corretta, una vera ammissione di colpa, terapie inappropriate o dannose.
In quest’ultimo filone rientra “l’americanata” di ridurre la durata del corso di laurea in Medicina, un provvedimento che unito al continuo aumento dei flussi in entrata, alle invasioni di campo dei tribunali, al fiorire di università straniere produrrebbe una pletora medica di dimensioni critiche. Ma anche la proposta di deroga all’orario di lavoro massimo, che significa colmare i vuoti di organico spremendo chi c’è e non assumendo i giovani,e la idea balzana di ammettere ai concorsi specialisti tuttologi, per mandare un anatomopatologo in PS a trattare infarti o un igienista nei reparti a curare bambini. Senza tralasciare l’inaccettabile tentativo di sdoganamento del lavoro medico al di fuori del CCNL della dirigenza sanitaria attraverso la previsione di un rapporto di lavoro convenzionato. Di dubbia efficacia, poi, la modifica dell’età di pensionamento, anche se su base volontaria, per una popolazione ospedaliera che è la più vecchia del mondo e con le peggiori condizioni di lavoro del decennio.
Più ombre che luci, insomma, in un quadro in cui l’incremento delle risorse per il personale è una foglia di fico che restituisce solo in parte il maltolto nel decennio.
A legislazione vigente, l’unica soluzione possibile alla carenza di medici, veterinari e dirigenti sanitari specialisti è quella normata dalla Legge di Bilancio 2019 e dal DL “Calabria”. Cioè l’apertura dei concorsi agli specializzandi del quarto e quinto anno, con inserimento in graduatorie separate da utilizzare, in caso di inesistenza o esaurimento di quelle degli specialisti, per l’attivazione, presso le aziende sanitarie e ospedaliere, accreditate o in possesso dei requisiti per essere accreditate , di un percorso di formazione specialistica che prevede il training professionalizzante come dipendente e lo svolgimento presso l’Università della parte teorica.Con un contratto di lavoro-formazione, a tempo determinato prima, ed a tempo indeterminato a specializzazione acquisita,inquadrato nell’area della dirigenza medica,veterinaria e sanitaria. Manca solo un regolamento attuativo che crei condizioni attrattive per i giovani, specie retributive.
L’attuale disponibilità di 9.000 medici specializzandi del quarto e quinto anno, un numero quasi pari a quello dei medici non sostituiti nell’ultimo decennio, potrebbe mettere fine ai “concorsi deserti” attraverso graduatorie cui attingere. Non c’è bisogno, quindi, di assumere neo laureati né di conferire incarichi libero-professionali, se non per destrutturare lo stato giuridico dei medici ed azzerare il loro capitale formativo. È necessario, invece, eliminare il tetto alla spesa per le assunzioni, privo di senso e punitivo per la sanità pubblica, specie nelle Regioni meridionali.
Un sistema formativo non parcellizzato in 21 sottosistemi differenti è capace di creare anche un “circolo virtuoso”, liberando risorse per aumentare il numero dei contratti di formazione, aspetto completamente ignorato dalle Regioni. Infatti, per tamponare il gran numero di pensionamenti previsti entro il 2025/26 e ridurre l’imbuto formativo che il prossimo anno intrappolerà circa 15.000 medici, c’è bisogno di almeno 12.000 contratti di formazione fino al 2023/24, vista la necessità di garantire un adeguato turnover fino al 2026, anno dopo il quale la gobba pensionistica incomincerà rapidamente a deflettere.
Il tutto richiede un finanziamento della sanità pubblica in crescita al di là dei 2 mld previsti dal vecchio DEF. Perché il SSN è il più potente fattore di coesione sociale, “motore di giustizia sociale”, strumento di garanzia di diritti costituzionali. E, come dice il Ministro Speranza, “Le risorse che si mettono nella sanità non vanno considerate banalmente come una spesa, ma come un investimento straordinario sulla salute e sul benessere delle persone”.
Un salto non solo culturale, ma economico e politico, che ci aspettiamo dal nuovo Governo a partire dalla legge di bilancio.