Rassegna Stampa
25 settembre 2023
Il Covid imbarazzante
Fonte: scienzainrete.it
Si percepisce un certo imbarazzo nel ricominciare a dover parlare di Covid-19, come richiede l’aumento di casi che si registra anche in Italia. La ragione, scrive l’epidemiologa Stefania Salmaso, può forse essere identificata nella mancanza di un processo trasparente che permetta di comprendere in base a quali elementi l’autorità sanitaria formuli raccomandazioni, e che porta al ricorso a opinionisti.
“Un Covid-19 imbarazzante”: potrebbe essere il titolo di una novella di Calvino o di una filastrocca di Rodari, ma è quanto stiamo osservando in questi giorni. L’aumento di frequenza di infezioni da SARS-CoV-2 in diverse aree del mondo, inclusa l’Italia, ha costretto la stampa corrente e i media in generale a doversene occupare di nuovo. Però spesso se ne parla con una sorta di imbarazzo e solo per dovere di cronaca, e se si passa a discutere di eventuali contromisure l’imbarazzo è ancora più evidente.
Perché? Uno degli aspetti peggiori della comunicazione in corso di pandemia è stato il ricorso a “opinionisti”, tra i quali molti anche ben qualificati nel settore clinico della cura del malato, ma non necessariamente dotati di esperienza e strumenti di sanità pubblica. Le opinioni sono facilmente strumentalizzabili e la polarizzazione delle posizioni è stata spesso associate a ideologie politiche e non. Quasi mai c’è stata spiegazione del processo decisionale e dei criteri che lo avevano guidato, dei motivi della scelta tra diverse alternative, per cui ai più è sembrato che un’opinione valesse quanto un’altra.
Ora che torniamo a confrontarci con l’aumento di frequenza dei casi di Covid-19, a molti sembra che schierarsi a favore o contro di una o più raccomandazioni (uso di mascherine? isolamento degli infetti? vaccinazione?) possa essere connotato anche ideologicamente, in assenza di elementi razionali dichiarati, e da qui nasce l’imbarazzo. Quando non si sa bene in base a quali argomenti e dati vengono prese decisioni, allora è evidente che lo spazio per le “opinioni” diventa predominante e la discussione si sposta su piani diversi dall’approccio razionale.
In effetti nel nostro Paese non esiste (o almeno non è noto) un processo consolidato e trasparente che permetta di comprendere in base a quali elementi l’autorità sanitaria formuli raccomandazioni. Perfino la presenza di dati scientifici non sempre è dirimente nei confronti di scelte di sanità pubblica e passare dalle evidenze alle raccomandazioni non è automatico: dipende dalla solidità delle prove (grado), dal contesto in cui sono state ottenute (validità esterna), dalla fattibilità (sistema organizzativo) e accettabilità delle raccomandazioni. Valutare la qualità delle evidenze disponibili e definire la forza delle raccomandazioni che ne scaturiscono è il metodo applicato da anni anche all’estero per la redazione di linee guida.