Il destino del Ssn è legato all’ultimo collante che lo tiene unito: il contratto collettivo nazionale di lavoro dei sanitari.
Perché la “questione contratto delle dirigenza medica, veterinaria e sanitaria” si identifica con la “questione SSN”.
Dopo studi e previsioni sulla morte prossima del Ssn, a 40 anni giusti dalla sua istituzione, possiamo dire che nella più banale sciatteria e confusione istituzionale “lo stiamo perdendo”.
Non occorre deformare le riforme istituenti per fare crollare come un castello di carte un sistema complesso come il Ssn, basta fare male ciò che occorre fare. Basta urlare slogan per tenere buoni tutti e confidare nella disaffezione e nel logoramento degli utenti e degli operatori e poi fare il contrario.
Basta mettere contro cittadini insoddisfatti e medici e sanitari impotenti per decretare una fine ingloriosa del patto universalistico e solidaristico che ha generato il Ssn.
Perché la “questione contratto delle dirigenza medica veterinaria e sanitaria” si identifica con la “questione SSN”? Proviamo a dare una spiegazione a questa coincidenza.
In primo luogo perché in una fase di diaspora da “regionalismo differenziato” l’ultimo elemento certo che può avere valenza coesiva nazionale “erga omnes” è il contratto collettivo nazionale di lavoro del personale sanitario del comparto e della dirigenza.
Ma la questione più critica riguarda la spesa per il personale. Il tetto di spesa per le assunzioni del personale del Ssn è stato fissato nel 2016 dal governo precedente ai valori del 2004 ridotti dell’1,4%.
Tutti sanno che la spesa del 2004 (per di più ridotta) non è assolutamente adeguata alle esigenze del 2019, e soprattutto non tiene conto dell’uso che della spesa per il personale si è fatta in regioni diverse laddove in talune si è razionalizzato e in tal altre si è speso oltre il budget disponibile per fare proselitismo elettorale.
A questo si aggiunga, come tutti sanno, che stanno andando in pensione coorti numerosissime di infermieri e dirigenti medici e sanitari con l’evidente favorevole occasione di rimpiazzare personale più costoso per anzianità e carriera in uscita con personale al primo incardinamento, molto meno costoso.
Ma non è tutto: nella massa salariale del personale che oggi va o sta andando in pensione è compresa una quota denominata RIA (Retribuzione Individuale di Anzianità).
Questa entità, che è legata allo stipendio di ciascun sanitario che andrà in pensione da qui al 2026 e ammonta a 32 milioni nel 2017, 47 milioni nel 2018, 35 milioni nel 2019, 38 milioni nel 2020, 44 milioni nel 2021, 40 milioni nel 2022, 39 milioni nel 2023, 35 milioni nel 2024, 31 milioni nel 2025, 28 milioni nel 2026 (chi vuole contestare queste cifre oggettivizzi i calcoli e spieghi come si allocheranno tali somme), dovrebbe mantenere la sua funzione remunerativa del personale sanitario e dirigente per premiare le condizioni di lavoro particolari che nel personale della Pubblica Amministrazione si ritrovano solo nella sanità (turnazione h24 e presenza in servizio 365 giorni l’anno, pronta reperibilità, straordinari secondo i bisogni dei pazienti, rischio professionale) e per incentivare performance professionali e sviluppi di carriera specialistici e non solo dirigenziali-gestionali.
Ma anche per questo Governo non deve andare così! La giustificazione sarebbe che la RIA non può essere mantenuta quale finanziamento ulteriore del contratto del personale del Ssn perché le altre componenti della PA che ne beneficiano rivendicherebbero pari trattamento.
A parte il fatto che tutte le altre componenti della PA hanno condizioni di lavoro ben diverse da quelle dei sanitari (quali uffici amministrativi ad esempio sono aperti 365 gg l’anno, h 24?) la questione di equità ha già trovato soluzione del comma 435 della legge 75/2017 di bilancio per il 2018 (emendamento Gelli) che ha saputo trovare un percorso idoneo, legittimo e ulteriormente percorribile e implementabile per remunerare un contratto che rafforzi la presenza delle migliori professionalità mediche e sanitarie nel Ssn e non nel privato.
Il Governo (oppure solo il MEF in ostaggio della Ragioneria?, cosa che sarebbe bene sapere dal Ministro della salute) si ostina quindi a voler sottrarre alla sanità quelle risorse per finanziare altri reparti della pubblica amministrazione.
Se già è difficile credere che nella sanità ogni pensionato sarà rimpiazzato da un nuovo assunto, anche per la mancanza di specialisti causata da anni di folle programmazione delle specializzazioni universitarie, la recessione denunciata dal Presidente Conte fa presagire che nel 2019, per evitare l’aumento dell’IVA nel 2020, si debba taglieggiare ancora la spesa per la sanità.
In pratica succede che la spesa per il personale che il Ssn sosteneva 15 anni fa, ridotta del 1,4% dovrebbe pagare le professionalità, dal 2019 in avanti, tolti anche i circa 2 miliardi della RIA che da qui al 2026 non saranno più disponibili per il Ssn.
In buona sostanza il minor personale in servizio dal 2019 e successivi dovrà garantire i nuovi LEA facendosi ridurre la massa salariale per far risparmiare allo Stato 2 miliardi di euro in 10 anni, molto ma molto di più di quanto il Governo racconta che aggiungerà al Fondo sanitario nazionale.
In questo scenario che i cittadini non riescono neppure a figurarsi, le sempre più pesanti condizioni di lavoro dei sanitari genereranno altra insoddisfazione verso il Ssn, le liste d’attesa si allungheranno, l’esodo dei medici pubblici verso la sanità privata potrà essere così ulteriormente incentivato e la storia del Ssn sarà chiusa per sempre.
Confidiamo – ancora per poco – nella saggezza e nella tenacia di pochi parlamentari assennati.
Ma se uno sciopero è stato sospeso per i segnali di apertura dati dal Ministro della salute, uno sciopero si potrà fare e duramente ripetere se gli altri segnali del Governo, del Parlamento e delle Regioni saranno ancora negativi.
E’ ormai inutile e irritante dire che si vuole tutelare la salute pubblica, il Ssn e la sua universalità ma agire in senso contrario.
Tra il dire e il fare c’è di mezzo lo stanziamento di risorse adeguate. Mancano medici, infermieri, farmacisti, biologi, veterinari, psicologi. Le domande di presa in carico, prevenzione e assistenza rimangono inevase. I pronto soccorso sempre più ingolfati e inadeguati sembrano frontiere invalicabili per naufraghi della Sanità Pubblica Italiana. Chi può si paga una assicurazione e si cura nei presidi della sanità privata. Gli altri possono considerarsi migranti in attesa di un “posto letto sicuro”.
Aldo Grasselli