Rassegna Stampa

22 marzo 2020

I piani pandemici c’erano: nessuno, però, li ha seguiti

Fonte: ilfattoquotidiano.it

Ogni giorno ci piovono addosso moniti sull’irresponsabilità dei cittadini: troppa gente in giro, dice anche chi fa ordinanze su tutto ma non ha voluto finora prendersi la responsabilità di chiudere cantieri, fabbriche e uffici non essenziali (solo nell’area metropolitana di Milano, dice la Camera del lavoro, per questi motivi si muovono ad oggi in 300mila ogni giorno). Va bene la responsabilità individuale, ovviamente, le leggi si rispettano, ma temiamo che il pulpito – dal governo alla Protezione civile alle Regioni – non sia abitato da predicatori senza peccato.

Grazie alla segnalazione di un lettore abbiamo infatti scoperto una cosa chiamata “Piano nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale” e i di lui figli, i Piani pandemici regionali: l’Italia se n’è dotata circa 15 anni fa dopo l’influenza aviaria (2003). Questi documenti – tutti disponibili online – appaiono un po’ datati quanto alla natura del contagio (danno, ad esempio, grande risalto al contenimento negli allevamenti e al ruolo dei veterinari) e non risultano essere stati aggiornati di recente, ma comunque tracciano utilissime linee guida per la reazione alle varie fasi della pandemia: da quando non c’è alcun pericolo ai primi casi sul territorio nazionale fino all’emergenza passando per la presenza dei primi cluster (focolai autonomi).

Conviene a questo punto ricordare che il primo (inascoltato) allarme coronavirus in Cina arriva a fine dicembre, a inizio gennaio c’è la conferma di Pechino, alla fine del mese è emergenza conclamata. Cos’hanno fatto di quanto previsto nei Piani pandemici governo e Regioni nel mese prima che scoppiasse il bailamme? Poco o nulla, parrebbe.

Solo qualche esempio. Nella fase pre-emergenza, il Piano prescrive “la preparazione di appropriate misure di controllo della trasmissione dell’influenza pandemica in ambito ospedaliero”. Quali? “Approvvigionamento dei DPI (dispositivi di protezione individuale come mascherine e guanti ndr) per il personale sanitario”; “Controllo del funzionamento dei sistemi di sanificazione e disinfezione”; “Individuazione di appropriati percorsi per i malati o sospetti tali”; “Censimento delle disponibilità di posti letto in isolamento e di stanze in pressione negativa”; “Censimento delle disponibilità di dispositivi meccanici per l’assistenza ai pazienti” (i respiratori e altri macchinari necessari). E mica si tratta di un avviso generico: “Costituire, previo censimento dell’esistente, una riserva nazionale di: antivirali, DPI, vaccini, antibiotici, kit diagnostici e altri supporti tecnici per un rapido impiego nella prima fase emergenziale, e, contestualmente, definire le modalità di approvvigionamento a livello locale/regionale nelle fasi immediatamente successive”. Responsabili: ministero della Salute, Istituto superiore di sanità e Regioni.

E ancora, tra le risposte necessarie si stabilisce di “attuare la sorveglianza per individuare rapidamente i casi fra gli operatori sanitari” come pure di prevedere “quarantena e sorveglianza attiva dei contatti” di chi è positivo (pratica che oggi il governo studia sul “modello coreano”, ma che oggi non viene seguita quasi mai neanche con banali telefonate ai soggetti a rischio). E dire che le strutture sulla carta sarebbero già predisposte capillarmente dai livelli regionali. Citeremo qui – per dare l’idea che il cosa fare è noto a tutti – solo il piano della Calabria, assai simile a quello delle altre zone del Paese. Intanto la Regione si è data i livelli di comando necessari: ha istituito una “Unità di Crisi Regionale per la Pandemia” e una “Unità di Crisi Aziendale per la Pandemia” in ogni azienda sanitaria regionale indicando chi ne fa parte e prescrivendo che ognuna si do3ti di un piano di azione. Tra le cose da fare c’è questa: quando si individua un caso, specie con numeri contenuti come al centro-sud, la segnalazione va fatta subito.

Tra le cose da fare c’è questa: quando si individua un caso, specie con numeri contenuti come al centro-sud, la segnalazione va fatta subito al soggetto pubblico competente “in modo che possa essere attivata immediatamente l’inchiesta sul malato, la sorveglianza dei contatti e definita la popolazione esposta”, anche “nel caso di visita ambulatoriale” raccogliendo “i nomi dei presenti in sala d’attesa”.
Tornando al centro di questa vicenda, cioè alla (non) preparazione del Servizio sanitario nazionale all’onda dell’emergenza, il piano calabrese è illuminante: “Ogni Azienda Sanitaria deve stimare il fabbisogno di DPI attraverso il censimento degli operatori sanitari, per singolo presidio e mettere a punto dei piani di approvvigionamento e distribuzione”. Ma solo negli ospedali? Giammai: anche in “ambulatori, distretti, servizi di sanità pubblica e veterinari, laboratori. Dovrà inoltre essere prevista la fornitura di DPI ai servizi di guardia medica e 118, ai medici di medicina generale ed ai pediatri”. E questo, ovviamente, riguarda anche i farmaci e i macchinari necessari. Insomma, qualcuno – e certo non solo in Calabria a giudicare dalla situazione generale – deve avere dimenticato di fare scorta quand’era il momento. Infine citiamo solo di sfuggita la formazione da fare a tutto il personale sul piano pandemico e le regole, su cui si insiste molto, per comunicare alla popolazione. Un solo estratto: “Definire messaggi chiari, omogenei, condivisi a livello nazionale e locale, elaborati sulla base della percezione collettiva del rischio”. Magari non è tutta colpa dei runner…

22 marzo 2020

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