Rassegna Stampa

06 luglio 2021

Nessuno sa con certezza se la variante delta è più letale

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Il covid-19 è in una fase d’intenso automiglioramento. Da quando è penetrato nella popolazione umana, il sars-cov-2 si è frammentato in centinaia di ceppi, alcuni dei quali hanno poi prodotto nuove varianti a rapida diffusione. Una versione più infettiva del coronavirus (con il passaggio da D614 a G614) si è presentata la scorsa primavera, prima di cedere il passo alla variante altamente trasmissibile alfa (b.1.1.7). Ora la versione delta (b.1.617.2), potenzialmente la più contagiosa fino a oggi, è pronta ad assumere il primato globale.

Dal punto di vista cronologico il virus sta diventando sempre più bravo nel raggiungere il suo obiettivo primario: infettarci. E gli esperti temono che ci vorrà ancora un po’ prima che il suo potenziale contagioso raggiunga la massima potenza. “Un virus cercherà sempre di aumentare la sua trasmissibilità, se può”, mi ha detto Jemma Geoghegan, virologa evolutiva dell’università di Otago.

Tuttavia per altri aspetti, è molto più difficile fare previsioni e perfino ottenere delle prime conclusioni. I ricercatori non conoscono ancora bene la virulenza delle varianti, una misura che permetterebbe di sapere quali sono quelle che causano più o più forme gravi malattia. E se è vero che il grado di contagiosità di un virus può a volte aumentare la sua propensione a uccidere, le due cose non sono affatto legate: i futuri ceppi di coronavirus potrebbero essere più letali, meno letali, o nessuna delle due cose. Continuiamo a cercare di classificare varianti specifiche come “più pericolose”, “più mortali”, o “più problematiche”, ma l’evoluzione virale è un caos che intimidisce e confonde: un intreccio complesso da osservare in tempo reale. “Non possiamo essere compiacenti e dirci che non ci saranno più mutazioni”, mi ha detto Akiko Iwasaki, virologa e immunologa di Yale.

06 luglio 2021

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