Rassegna Stampa

12 aprile 2021

Covid: studio, immunità superdiffusori ha attenuato 2^ ondata

Fonte: Agi

Le aree del Paese che hanno più sofferto le conseguenze della diffusione della prima ondata pandemica sono parse decisamente più al riparo nella seconda. Uno studio condotto dall’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia ha concluso che la seconda ondata è stata tanto più attenuata quanto più forte è stata l’intensità della prima. Questo perché, nel corso della prima ondata, potrebbe essersi stabilita un’immunità non così lontana da quella cosiddetta “di gregge”, oppure che essa abbia colpito i cosiddetti “superdiffusori”, gli individui maggiormente responsabili della trasmissione dell’epidemia. Le conclusioni dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Environmental Research

“Sulla base degli elementi disponibili, tale ultima ipotesi – è convinzione degli autori – è stata però considerata poco plausibile”.
Commentando il lavoro, Vinceti afferma: “È stato uno studio tanto rapido nel suo disegno e nella sua realizzazione quanto per noi importante. Desideravamo infatti cercare di ‘leggere’ in tempo reale l’andamento dell’epidemia nelle sue ondate successive alla prima, e capire tempestivamente sulla base di tali tendenze epidemiologiche quali fossero i fattori in grado di predire ma soprattutto di prevenire il verificarsi di nuove ondate. Credo che sia adesso importante cercare di capire se siano motivazioni di ordine immunologico o più strettamente epidemiologico quelle che stanno alla base della correlazione inversa tra le due ondate che abbiamo riscontrato. Il nostro studio conferma inoltre l’importanza della disponibilità di dati cosiddetti open access, quali quelli che abbiamo potuto reperire e scaricare dal sito della Protezione Civile e dell’Istat, per la realizzazione di studi di epidemiologia ambientale di diretta rilevanza per la sanità pubblica. Sono infine grato a questa bella collaborazione internazionale stabilitasi nel corso di questi mesi sull’epidemiologia del Covid-19 tra Unimore, Istituto Karolinska e Boston University, arricchita in questa occasione dal contributo di una nostra laureanda in Medicina”.

Tommaso Filippini, uno degli autori dello studio, dal canto suo, aggiunge: “Essere riusciti a studiare più in dettaglio l’andamento e la correlazione delle prime due ondate di questa pandemia è sicuramente un valore aggiunto dal punto di vista di Sanità Pubblica. Infatti, una maggiore comprensione delle dinamiche epidemiche, assieme allo studio di altri determinanti come i fattori ambientali e meteoclimatici e le caratteristiche della popolazione colpita, potranno permettere, in un’ottica predittiva, di avere una maggiore consapevolezza su quello che ci potremo attendere riguardo l’andamento di future epidemie su scala globale. Ciò anche al fine di organizzare la risposta dei servizi sanitari in modo più rapido ed efficiente nel tentativo di minimizzare gli effetti negativi nella popolazione, specialmente per le categorie più fragili come anziani e portatori di patologie croniche”.

Sulla base di una procedura statistica specificamente sviluppata per questo studio è stato possibile effettuare un confronto tra le due ondate del Covid-19 in Italia. I risultati ottenuti, relativi all’intero territorio nazionale suddiviso su base provinciale, hanno permesso di osservare una correlazione diretta tra le due ondate sino ad una incidenza nella prima ondata di circa 500 casi/100.000 residenti. Oltre tale incidenza, la seconda ondata ha invece evidenziato un andamento chiaramente inverso, risultando tanto più attenuata quanto più forte era stata l’intensità della prima ondata.

L’interpretazione di questi risultati, secondo gli autori, ha lasciato aperte tre ipotesi: 1) che nel corso della prima ondata si sia stabilita un’immunità non così lontana da quella cosiddetta ‘di gregge’ (almeno 50-70 per cento della popolazione, per questa infezione), nonostante i livelli di sieroprevalenza anticorpale dell’indagine nazionale Istat evidenziassero tassi di immunità umorale assai più bassi e comunque non superiori al 5-10 per cento anche nelle aree più fortemente colpite, forse a causa di una immunità specifica cellulare oppure ‘crociata’ con altri coronavirus; 2) la prima ondata abbia selettivamente colpito i cosiddetti “superdiffusori” (superspreaders), cioè gli individui maggiormente responsabili della trasmissione dell’epidemia, limitandone quindi tale ruolo nel corso della seconda ondata a causa di una loro pregressa immunizzazione post-infezione; 3) che nelle province più colpite siano state adottate, da parte della popolazione, misure precauzionali più accentuate rispetto agli altri contesti geografici. (A

Gli autori hanno esaminato l’intero patrimonio nazionale di dati di incidenza dell’infezione da Sars-CoV-2 specifico per province, liberamente disponibile presso la Protezione civile italiana. Ne è scaturito un database contenente l’incidenza per popolazione provinciale nei periodi febbraio-maggio e settembre-ottobre 2020, tenendo altresì conto di indicatori socio-demografici tra cui l’indice di vecchiaia, la proporzione di famiglie mononucleari, e la mobilità dei residenti.

Si tratta certamente della prima rigorosa analisi delle relazioni tra prima e seconda ondata Covid-19 in Italia e dei legami epidemiologico-statistici tra di esse. “Non pochi commentatori e mezzi di comunicazione – spiega Marco Vinceti, tra gli autori dello studio – hanno osservato in questi ultimi mesi, cioè nel corso della cosiddetta seconda e terza ondata del Covid-19 nel nostro Paese, come aree duramente colpite dalla prima drammatica ondata della pandemia nella primavera 2020, quali le province di Lodi, Bergamo e Piacenza, fossero relativamente poco toccate dalla successiva recrudescenza dell’infezione da Sars-CoV-2. La ragione di questo esito non è tuttavia chiara e, soprattutto, mancava un’analisi sistematica di questo fenomeno, cioè delle relazioni tra intensità della prima e della seconda ondata, applicate all’intero territorio nazionale”.

12 aprile 2021

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