Notizie

22 dicembre 2022

Condividi:

Pensioni, il bancomat della rivalutazione

Categoria: Previdenza

Pensioni, il bancomat della rivalutazione

Uno schiaffo al merito per i circa 1,8 milioni di italiani con rendite (supportate da contributi) dai 2.500 euro lordi in su: alcuni spunti di riflessione sullo schema di indicizzazione delle pensioni voluto dal governo Meloni a partire dai dati dell’ultimo Osservatorio realizzato da Itinerari Previdenziali, con il sostegno di CIDA

La rivalutazione delle pensioni prevista nella Legge di Bilancio del governo Meloni rappresenta una vera “punizione” per i pensionati sopra i 2.500 euro di pensione lorda, uno schiaffo al merito e una perdita in 10 anni che va dai 13mila euro agli oltre 115mila per i pensionati con un assegno di 10mila euro lordi (meno di 6mila netti), che sono quelli che hanno pagato di più in tasse e contributi. E, poiché una parte consistente di coloro che sono andati in pensione negli ultimi 4/5 anni hanno una quota di pensione calcolata con il metodo contributivo, che prevede la rivalutazione piena degli assegni pensionistici, si potrebbero verificare anche dei profili di incostituzionalità che speriamo la Suprema Corte questa volta veda.

Ma adiamo con ordine. Per i pensionati l’anno nero fu quello del governo Monti che, nel 2012/13, di fatto azzerò la rivalutazione delle pensioni oltre 4 volte il minimo, penalizzando anche quelle da 3 a 4, volte a fronte di un’inflazione del 3% e 1,2%. Dal 1995 non accadeva una così grave penalizzazione per i pensionati, salvo il periodo 1999/2001, quando il governo Amato rivalutò solo del 30% gli assegni da 5 a 8 volte il minimo e azzerò quelli più elevati a fronte di un’inflazione pari in queli anni, rispettivamente, all’1,7%, al 2,5% e al 2,8%. Dall’esecutivo di Monti in poi, i pensionati con assegni sopra 3 volte il minimo sono stati letteralmente “spennati come capponi”, anche dai governi Letta, Renzi, Gentiloni e soprattutto da quelli Conte, l’uomo dell’Avaro di Molière. Negli ultimi 10 anni le pensioni da 4 volte il minimo INPS (circa 2.000 euro lordi al mese) hanno perso oltre il 10% di potere d’acquisto o, se volete, sono state svalutate del 10% . 

Finalmente il governo Draghi aveva reintrodotto la rivalutazione prevista dalla normativa del 1996, disattesa dai citati esecutivi, prevedendo che dal primo di gennaio 2023 la rivalutazione fosse al 100% per i 12,6 milioni di pensionati fino a 4 volte il minimo, al 90% per gli 1,6 milioni di pensionati da 4 a 5 volte il minimo e al 75% per gli 1,8 pensionati sopra i 2.500 euro (per la precisione sopra i 2.620 euro, 5 volte il minimo) che, rispetto agli altri, perdono – avendo una rivalutazione al 75% – oltre 1,5 miliardi nel primo anno; miliardi che diventano quasi 20 in 10 anni. Un risultato comunque eccezionale rispetto ai succitati governi e soprattutto agli esecutivi di Giuseppe Conte che, non contento di aver usato i pensionati per finanziare il suo reddito di cittadinanza, impose alle pensioni sopra i 100mila euro lordi – le chiamò “d’oro”, un’espressione odiosa che fomenta le tensioni sociali – un arbitrario contributo di solidarietà tra il 15 e il 40%, che riguardava solo 35.600 pensionati, perlopiù ultra 75enni e non tutti in salute. Persone che nel 90% dei casi la pensione se l’è strapagata ma che il governo Conte ha voluto penalizzare con un atto fasullo, lasciato colpevolemente correre anche dalla Suprema Corte.  La proposta targata Conte, Di Maio e Salvini portò nelle casse meno di 120 milioni l’anno ma istillò tanto, troppo odio sociale e disprezzo per il merito.

Pensavamo che il Governo Meloni, quello del ministero del merito, anche alla luce degli ultimi dati fiscali, assegnasse valore a quel 1,8 milioni di pensionati che i contributi e le tasse le hanno sempre pagate e hanno “mantenuto” il Paese; invece, proseguendo nella tradizione della peggiore sinistra, la Legge di Bilancio per il biennio 2023-2024 rivaluta le pensioni e gli assegni sociali e le pensioni al minimo addirittura del 120% dell’inflazione prevista (7,3%), penalizza le pensioni fino a 4 volte il minimo e poi peggiora tremendamente tutte quelle oltre 4 volte il minimo.

Tabella 1 – La nuova indicizzazione delle pensioni del governo Meloni

Fonte: Osservatorio dedicato alla rivalutazione delle pensioni, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

Partendo dal minimo che per il 2022 è pari a 525,38 euro a seguito della rivalutazione all’inflazione 2021 definitiva all’1,9% (+0, 2%) rispetto a quella provvisoria all’1,7% stimata per il 2021 e aggiornata dal decreto MEF, le rivalutazioni saranno: del 100% per pensioni/assegni sociali e pensioni minime incrementate addirittura dell’1,5% oltre il 7,3%, stabilito provvisoriamente per il 2022 dal MEF per il 2023 e del 2,7% per il 2024; all’80% per le pensioni fino a 4 volte il minimo (2.627 euro); al 55% per gli assegni da 2.627 euro a 3.152 euro; al 50% tra quest’ultimo importo e 4.203 euro e al 40% per importi superiori. La cosa grave, e qui sta il problema maggiore, è che la perequazione avverrà per fasce e non per scaglioni: vale a dire, ad esempio, che un pensionato con una rendita tra i 3.152  e i 4.203  euro si vedrà rivalutata la pensione solo al 3,65%, anziché al 7,3%. Con i tassi di inflazione previsti è quasi certo che nel 2024 si dovrà aumentare l’attuale 7,3% di circa un punto e mezzo, se non addirittura due punti percentuali, creando così un’ulteriore crescente squilibrio nel sistema; sistema che, così impostato, premia chi ha lavorato poco e versato pochi contributi e, quindi, anche zero o poche imposte, “pesando” di fatto a carico della collettività per tutta la vita e lo è ancora in pensione.

Nel 2021 le sole pensioni sociali e quelle integrate al minimo sono costate oltre 12 miliardi l’anno, escludendo i 3 miliardi di maggiorazioni sociali, la quattordicesima mensilità (1,4 miliardi) e l’importo aggiuntivo, a scapito di chi ha lavorato e versato a lungo sia tasse sia contributi portandosi sulle spalle oltre il 60% dell’intero gettito fiscale e contributivo. La supervalutazione delle pensioni minime riguarda circa 6 milioni di beneficiari, tra cui gli sfortunati (molto pochi) e gli evasori (molti), mentre vengono ancora penalizzati, modificando l’ottima e equa legge Draghi, i circa 1,6 milioni di pensionati tra le 5 e le 10 volte il minimo e i circa 200mila che prendono da 5.000 euro in su (per la precisione, 5.200 euro lordi, da 10 volte il minimo in su). Pensionati che già pagano una montagna di tasse che i 6 milioni di beneficiari di pensioni fino a 2 volte il minimo non pagano affatto e i 6,6 milioni tra 2 e 4 volte il minimo pagano in misura ridotta.

Giusto per dare un’idea numerica dell’enorme svalutazione delle pensioni nel decennio dal 2024 al 2033, ipotizzando un’inflazione molto prudenziale del 2% annua, le rendite di 2.500 euro lordi perdono circa 13mila euro, quelle da 5.253 euro lordi circa 69mila euro, che diventano quasi 9 mila per pensioni intorno ai 7.500 euro lordi e, come minimo, oltre 115mila per quelle da 10mila euro lordi in su. Cifre che per l’effetto trascinamento si sommano alle già pesanti perdite di potere di acquisto degli anni precedenti. 

Insomma, nei prossimi 10 anni questi pensionati meritevoli oltre a sobbarcarsi il grosso dei 56 miliardi di IRPEF sulle pensioni si vedranno derubati di altri 45 miliardi circa.

Fonte: Itinerari previdenziali 20 dicembre 2022