Circola in questi giorni la bozza della Legge di Bilancio licenziata dal Governo pochi giorni fa e in procinto di approdare in Parlamento per l’approvazione entro fine anno.
Il testo che abbiamo avuto modo di leggere solleva sospetti di incostituzionalità per ciò che riguarda la riforma fiscale e le pensioni.
L’articolo 34 ripropone un provvedimento già annunciato e poi ritirato nella Legge di bilancio dello scorso anno: il taglio dei rendimenti della parte retributiva delle pensioni, in particolare dei dipendenti della sanità (CPS) e degli Enti locali (CPDL).
Le pensioni sono accantonamenti di salario differiti, di proprietà dei lavoratori, che non possono impunemente diventare un bancomat del Governo per fare cassa senza disturbare gli evasori fiscali.
Per i dipendenti pubblici, tutti i contributi sia di parte datoriale sia a carico dei dipendenti vengono da sempre sottratti preventivamente dalle risorse contrattuali. In particolare, gli aumenti contrattuali vengono decurtati per alimentare gli accantonamenti previdenziali, inoltre il 33% delle retribuzioni viene destinato per la pensione futura. Tagliare i rendimenti significa manomettere le regole e, in particolare, non rispettare le condizioni di rendimento previste per coloro che hanno riscattato i periodi di studio sulla base di criteri di rendimento che adesso il Governo non vuole più rispettare.
Sarebbe come se dopo aver acquistato un titolo di Stato con un determinato tasso di rendimento fisso, in corso d’opera il rendimento venisse ridotto da chi lo ha emesso.
Ciò che prevede la bozza di Legge di bilancio è inaccettabile per centinaia di migliaia di lavoratori che contribuiscono regolarmente con le tasse che regolarmente pagano alle finanze pubbliche e, ove non intervengano modifiche, saranno fonte di un duro contenzioso.
Il sistema previdenziale nazionale perderebbe di credibilità favorendo l’esodo dei dipendenti pubblici alla prima data disponibile. L’istituto del riscatto, fonte di entrata immediata per l’INPS, sarebbe fortemente penalizzato e sempre meno attrattivo con conseguente diminuzione della protezione sociale dei giovani di oggi.
Inoltre, si anticipa di due anni la ripresa dell’indicizzazione all’aspettativa di vita per le pensioni: dalla promessa di un anticipo si passa al posticipo. Non è chiaro, infine, e si teme la peggiore ipotesi, se il taglio della quota retributiva proporzionale alla differenza tra i coefficienti di trasformazione previsti per la pensione di vecchiaia e quelli dell’età del pensionato nonché l’allungamento delle finestre riguardi solo i pensionandi con quota 100 e quote successive o la generalità delle pensioni anticipate.
Tagliare oltre la misura della precedente Legge di bilancio anche le rivalutazioni delle pensioni al tasso di inflazione sopra 4 volte al minimo, in deroga alla legge vigente con rivalutazione al 22% delle pensioni oltre 10 volte il minimo lordo sarebbe oltremodo provocatorio.
Non possiamo pensare che sia questa l’annunciata attenzione verso i lavoratori della pubblica amministrazione di cui parla il Ministro Zangrillo o il riguardo particolare verso il personale della sanità, di cui parla il Ministro Schillaci, che viene elogiato e blandito e poi gabbato.
Invitiamo tutte le forze politiche in Parlamento, e in particolare le Commissioni parlamentari competenti a intervenire con opportuni emendamenti per sventare questa ennesima discriminazione dei dipendenti pubblici, mitigando gli effetti che danneggerebbero le pensioni del personale dipendente, e di quello della sanità pubblica in particolare che, a queste nuove condizioni, lascerà gli ospedali e i servizi sanitari pubblici il prima possibile aggravando una situazione già molto critica nel Servizio sanitario nazionale.
Aldo Grasselli