Negli ultimi 20 anni il Servizio Sanitario Nazionale ha subito una serie di attacchi provenienti più o meno consapevolmente da tutti i governi: la mentalità neo liberista, la gestione di tipo aziendalistico, il mito privatistico anche nei rapporti e nei contratti di lavoro, il vincolo costituzionale del pareggio di bilancio che ha impedito alla sanità di adeguare le spesa ai bisogni della gente, sono entrati nel sistema e sono diventati un insieme di regole auree perniciose che sarà difficile rimuovere. Ma non è impossibile, non è vero che “non c’è altra soluzione che il mercato”, non è vero che non si possano mantenere standard elevati di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione anche in futuro.
Le conseguenze drammatiche dei decadimenti del Servizio sanitario sono sotto gli occhi di tutti. Il definanziamento, unito al fatto che in questa fase storica c’è un assoluto disinteresse, quasi un fastidio, verso le cose pubbliche che porta a pensare ciascuno per sé, chi può mediante le assicurazioni (che tra l’altro sicuramente non garantiscono la prevenzione primaria), rende molto difficile immaginare un’inversione di tendenza.
Ma il SSN non è morto; il personale sanitario è insoddisfatto, impoverito e arrabbiato e vuole salvaguardare l’unico baluardo di welfare rimasto (insieme alle pensioni), conquistato con le lotte degli anni 70 e poi mantenuto fino ad oggi.
Per far sì che il Ssn attraversi questa strettoia e riprenda a dare servizi, a fare ricerca e fare prevenzione abbiamo bisogno di mobilitare energie e di creare alleanze con le quali si possa immaginare una svolta. Dobbiamo far capire ai cittadini cosa si rischia in termini di prevenzione, assistenza e cura.
In questo contesto la prima battaglia da fare è quella sulla contribuzione fiscale, sul finanziamento del Fondo sanitario nazionale e sul reclutamento di professionisti giovani e motivati.
Aldo Grasselli
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