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02 marzo 2020

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Epidemia da Coronavirus: se almeno servisse a qualcosa – Editoriale di Aldo Grasselli

Categoria: Comunicati

Epidemia da Coronavirus: se almeno servisse a qualcosa – Editoriale di Aldo Grasselli

La microbiologia e l’esperienza ci insegnano che le malattie infettive si descrivono con certezza solo dopo che sono state domate.

E’ noto che contro i pregiudizi non c’è alcun ragionamento logico che funzioni. Se ai pregiudizi si aggiunge la paura il cocktail è totalmente inebriante.
Tuttavia non sarebbe male analizzare i nostri comportamenti rispetto all’influenza stagionale che ogni anno si ripresenta e contro la quale abbiamo un vaccino efficacissimo.
Si vaccinano in pochi. Chissà perché i più amano il rischio ?
Forse non sanno che di tutti coloro che muoiono in Italia (650 mila persone l’anno) uno su mille muore di influenza.
I morti di influenza sono quasi due al giorno. Quel numero è una media che come molte medie distorce la realtà: le morti di influenza avvengono nel giro di quattro mesi e quindi fra novembre e febbraio ogni giorno di influenza (dato ISTAT).
Forse ormai ci sfugge la portata del problema influenza classica perché ne abbiamo confidenza e oggi abbiamo addirittura magnificato una nuova epidemia, esotica, sconosciuta e dalla narrazione più inquietante e apocalittica, l’epidemia di Coronavirus proveniente dalla Cina.

L’epidemia di Coronavirus è una lente di ingrandimento. Ci fa vedere cosa concretamente serve (una sanità pubblica efficiente), cosa funziona (gli ospedali pubblici), cosa è fuffa e propaganda (politici che non studiano e scienziati che emergono dai loro dimenticati laboratori e finalmente vivono il loro riscatto sociale nei talk show).
Se sapremo analizzare questa emergenza, creata in buona misura da una inadeguata comunicazione del rischio, capiremo meglio quanto la vanità di alcuni politici, e anche di alcuni scienziati che rilasciano dichiarazioni a corrente alternata, sia pericolosa per tutta la comunità umana. Oggi si parla a vanvera con la massima tranquillità. La comunicazione è talmente tumultuosa e incalzante che non ci ricordiamo di cosa è stato detto ieri. Sembra indispensabile comunicare per esistere, quando invece sarebbe più utile ragionare e ripetere i calcoli dell’analisi del rischio in silenzio, senza sollecitare paure e decisioni politiche estremizzate e incomprensibili o facilmente strumentalizzatili.
Il vecchio motto: studiare, studiare, studiare! E’ stato soppiantato: da parlare, dichiarare, twittare.
Oggi tutti osannano il SSN, e da questo c’è da temere il peggio.
Si rischia che nessuno ritenga necessario finanziarlo meglio e farne un avamposto di innovazione in termini di protezione civile concreta, quindi preventiva.
Una volta passata la paura si tornerà alla solita musica di sempre: ora non ci sono le risorse, siete precari dovete aspettare, non rompete ormai siete “dentro”, abbiamo altre priorità, la legge di bilancio non ha finanziato il Ssn, è colpa delle Regioni, è colpa del MEF, è colpa di qualcun altro.
Chissà se mai qualcuno si ricorderà che questa emorragia di vite, di denaro e di benessere è stata generata dal “salto di specie” dallo “spillover” e che, quindi, il tema “One Health” non è uno slogan da convegni inutili o argomento da pubblicazioni che restano nei cassetti.
Chissà se qualcuno, tra coloro che si aggirano attorno alle stanze dei bottoni, prenderà mai in considerazione il tema della sorveglianza epidemiologica degli animali selvatici da parte dei servizi veterinari pubblici per conoscere da quelle sentinelle animali sparse sul territorio, in aria e in mare, quali indicatori ci possono orientare per proteggere la salute umana cominciando da quella dell’ambiente e da quella animale. Non ci dimentichiamo che la Peste Suina Africana aveva già fatto danni enormi all’economia cinese e di molti altri paesi, e potrebbe essere la prossima crisi da prevenire o contenere da parte dei servizi veterinari italiani massacrati da anni di restrizioni, decapitazioni, accorpamenti, formazione universitaria sempre meno aderente alle esigenze della sanità pubblica, oblio del ruolo della sanità pubblica veterinaria da parte delle istituzioni, assenza di una catena di comando adeguata alle emergenze.
La prevenzione primaria, quella che non ha eventi da raccontare perché gli eventi avversi li previene, non ha mai avuto successo nel sentimento popolare. E la politica sa che tagliare la prevenzione non porta proteste sotto le finestre degli assessorati. I ministeri poi preferiscono snocciolare i dati del NOE, del NAS, dei carabinieri forestali, che trasmettono la loro azione di repressione a posteriori confezionando un messaggio fortemente mediatico, facilmente spendibile dai politici e apprezzato da stampa e cittadini.

Ma è la prevenzione primaria che ci fa vivere in un mondo migliore, quella che vi protegge davvero e tutti i giorni, e lo potete constatare benissimo proprio in questi giorni.

Il SSN sta rispondendo con efficacia alle situazioni critiche da Coronavirus. Quando ci si ammala gravemente le nostre strutture pubbliche sono le migliori. Però sarebbe bene ricordare che i pronto soccorso, le rianimazioni, le terapie intensive, come il resto del welfare e dei servizi del SSN hanno subito tagli per 37 miliardi in 10 anni. Gli ospedali sono spesso strutture vecchie, i tagli hanno fatto dismettere molti plessi e i posti letto sono sempre di meno. I medici e i sanitari sono molti meno di dieci anni fa, e chi è oggi in servizio ha un’età molto avanzata.
Mancano medici specialisti, mancano specialisti di tutte le professioni, mancano infermieri, mancano risorse.
Soprattutto manca la reattività dei governi e delle regioni alle richieste che i sindacati fanno da più di dieci anni, avendo previsto tutte le carenze che oggi ci fanno temere di non essere protetti o assistiti adeguatamente di fronte a un’emergenza.
Non abbiamo disturbato gli evasori fiscali (lo stato perde 140 miliardi l’anno) e allora c’è da temere che qualche onesto cittadino pagherà questa gentilezza con la sua salute.

Aldo Grasselli
Presidente FVM