Il contratto di Governo c’è.
Il contratto del comparto sanità c’è.
Le convenzioni di medicina generale, pediatria e specialistica ci sono.
Manca solo il contratto della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria. Perché?
Il contratto di medici, veterinari e dirigenti sanitari del Sistema Sanitario Nazionale è l’unico del comparto sanità ancora bloccato e dopo otto anni si sta accumulando, mese dopo mese, un ritardo imperdonabile che colpisce e irrita chi ha ruoli di responsabilità diretta nella diagnosi e cura dei pazienti e nella protezione della salute, assicurando, in modo insostituibile, un diritto costituzionale fondamentale.
La trattativa per il rinnovo del CCNL 2016-2018 è proseguita solo sul piano “tecnico” per non disperdere altro tempo dopo una rottura sui nodi fondamentali per un accordo tra le parti che sul piano politico, invece, non trova ancora ricomposizione.
Ma quali sono le questioni su cui si deve trovare un’intesa? Sembra ogni volta, ad ogni incontro, di dover ricostruire il quadro come in un mediocre giallo a puntate.
L’Atto di indirizzo, è stato dichiarato da tutti in prima battuta inadeguato alla soluzione delle notevoli complessità lasciate sul piano giuslavoristico da anni di mancata manutenzione della parte normativa a fronte di sopravvenienti norme nazionali e comunitarie, e sul piano economico ove si evidenziano: mancati accantonamenti da parte delle Regioni, sotto finanziamento della massa salariale, esclusione dalla massa salariale di una parte significativa della retribuzione come l’Indennità di esclusività di rapporto dei dirigenti sanitari.
Proviamo allora a mettere in fila alcuni nodi da sciogliere.
Il Comitato di Settore delle Regioni ha affrontato il tema dei contratti lasciando intendere che ci sono difficoltà a reperire le risorse per riconoscere – anno per anno – gli aumenti stipendiali previsti nell’entità arretrata del 0,36% per il 2016, del 1,09% per il 2017 e del 3,48% per il 2018 che ormai volge alla fine. Sono emerse ipotesi di decorrenza variabile (aumenti postadati o rivalutazioni parziali?) che sostanzialmente sottintendono danni a carico dei sanitari del tutto inaccettabili e illegittimi.
Le Regioni sarebbero poi disponibili a rispettare il CCNL 2010 nella disposizione che inseriva l’indennità dell’esclusività di rapporto nel computo della massa salariale da rivalutare nel contratto 2016-2018, ma resta in dubbio quale sia sul merito la posizione del Governo e nuovamente sulla disponibilità delle risorse necessarie.
Infatti, il Comitato di Settore delle Regioni nella nota n. 51 dell’8 marzo u.s. ha rappresentato la necessità di procedere “alla verifica sull’indennità di esclusività per i dirigenti dell’Area della Sanità e, in particolare, alla sua inclusione nel monte salari complessivo”.
Il 19 marzo la Ragioneria Generale dello Stato – con nota n. 40363 sull'Atto di Indirizzo integrativo per l'Area della Dirigenza medica, veterinaria e sanitaria predisposto dal Comitato di Settore delle Regioni – si è espressa sulla proposta elaborata dal Comitato medesimo ritenendo che le risorse per il rinnovo del contratto fossero state correttamente quantificate dalle Regioni in 458,10 milioni, cifra ritenuta necessaria (ancorché allo stato risulti inadeguata alle OOSS) a riconoscere anche ai dirigenti suddetti gli aumenti a regime, quindi gli stessi benefici previsti per tutto il resto del pubblico impiego, ma escludendo da queste la rivalutazione dell’indennità di esclusività di rapporto.
Orbene, se è vero che in conformità a quanto previsto dal CCNL 8 giugno 2000, secondo biennio economico: “Art. 5, comma 2. L’indennità di esclusività, fissa e ricorrente, è corrisposta per tredici mensilità. Essa costituisce un elemento distinto della retribuzione che non viene calcolato al fine della determinazione del monte salari cui fanno riferimento gli incrementi contrattuali”, è però altrettanto vero che il seguente CCNL II biennio economico 2008-2009 ha nettamente e definitivamente disapplicato quella esclusione con l’Art. 12, comma 3. che recita: “E’ disapplicato l’art. 5, comma 2, secondo capoverso del CCNL 8/6/2000, secondo biennio economico”.
Secondo il Conto Annuale del 2016 il valore complessivo dell’indennità di esclusività della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria è di circa 1,28 miliardi, e un aumento del 0,36% per il 2016, del 1,09% per il 2017 e del 3,48% per il 2018 su questo importo (considerato parte del monte salari e quindi soggetto agli aumenti del contratto) varrebbe quindi circa ulteriori 63 milioni di euro che devono essere opportunamente finanziati.
La motivazione tecnica addotta dalla Ragioneria Generale dello Stato, ossia l’alterazione del previsto quadro finanziario di riferimento per il rinnovo del CCNL e quindi la “non disponibilità” delle risorse necessarie, deve essere considerata nella sola funzione di sollevare un problema da superare con le necessarie poste e non può essere utilizzata dal Governo o dalle Regioni come presupposto per negare a circa 130.000 dirigenti il diritto di beneficiare dell’incremento previsto dal rinnovo contrattuale in pari misura rispetto al resto del pubblico impiego.
Diversamente, la negazione di quanto pattuito nel CCNL 6 maggio 2010 comporterebbe l’esclusione dell’indennità di esclusività dalla massa salariale che equivarrebbe ad una evidente discriminazione di trattamento dei dirigenti medici, veterinari e sanitari del Ssn e la svalutazione della loro scelta di non lavorare anche per la sanità privata.
Un tema caro alle Regioni consiste anche nella semplificazione delle buste paga, ovvero nella aggregazione di voci che hanno la caratteristica di essere fisse e ricorrenti. Un’ipotesi estetica che può trovare la disponibilità del sindacato solo se volta a determinare l’unificazione di diverse voci, anche provenienti in parte dai fondi per la remunerazione del risultato e del disagio, in un nuovo stipendio tabellare.
Occorre ricordare che questo è il primo contratto dopo l’unificazione delle ex Aree III e IV, con categorie professionali che portano in dote entità distinte e diverse. Talora, come nel caso dei dirigenti infermieristici, si registrano differenze molto consistenti che non possono essere appianate dalle altre categorie con le loro risorse contrattuali.
Infine, c’è da definire il tema dell’orario di lavoro e senza infingimenti chiarire le modalità applicative della direttiva comunitaria in materia. La carenza di personale ogni giorno più pressante ha portato le aziende sanitarie a estremizzare e forzare alcuni istituti contrattuali come la pronta disponibilità e l’estensione dell’attività lavorativa giornaliera con la dichiarata intenzione di riuscire a coprire turni e guardie altrimenti scoperti da organici sempre più ristretti.
Dopo quasi nove anni di sospensione dei contratti, altro tema cruciale ma indispensabile per rilanciare motivazione e condizioni di lavoro dei professionisti, è ridefinire il disegno contrattuale delle carriere, sia per la linea gestionale che per la linea professionale, sia in senso verticale che in senso orizzontale. Ma qui, se non si accelerano i tavoli di confronto mancherà il tempo per una dialettica che porti alla definizione di un progetto articolato e condiviso.
Una notazione poi va alla valenza di questo contratto che, se avrà fortuna, potrebbe chiudersi a fine 2018, cioè quando la sua vigenza viene meno. Quindi, dopo tanta vacanza contrattuale, bisogna immaginare che buona parte delle sue clausole regoleranno il lavoro futuro, cioè quello dal 2019 in poi. Per questo non è peregrino parlare di temi che nel contratto devono entrare oggi ed avere cogenza nel futuro, come l’allocazione della disponibilità della RIA e, non di meno, le quote riservate alla dirigenza dalla legge di bilancio per il 2018 (legge 205/2017), ovvero le risorse destinate a incrementare i Fondi contrattuali per il trattamento economico accessorio della dirigenza medica, sanitaria e veterinaria dal famoso “emendamento Gelli” (Art. 1 comma 435 pari a: 30 milioni nel 2019, 35 nel 2020, 40 nel 2021) che altrimenti resterebbero inefficaci in un limbo destinato all’oblio.
Le preoccupazioni non stanno diminuendo con il mutare del quadro politico, anzi. Solo pochi giorni fa l’Assessore della Regione Lombardia Caparini (Lega), coordinatore della Commissione Affari Finanziari della Conferenza delle Regioni, rivolgendosi al Governo Gentiloni, in audizione sul Def davanti alle Commissioni Speciali sosteneva che “In ambito sanitario questo è un anno cruciale: bisogna aggiornare il vecchio Patto della salute. L’ulteriore taglio di 1 miliardo di euro che ci viene prospettato per far fronte agli oneri del rinnovo contrattuale per il fabbisogno sanitario non può essere tollerato. Se ciò avvenisse sarebbe a rischio lo sblocco per il turnover del personale, l’eliminazione del superticket, l’offerta dei farmaci salvavita e la garanzia dei livelli essenziali di assistenza, tra i quali vaccinazioni e screening di prevenzione. In Europa, con il 6,6 % siamo il Paese che ha il rapporto fra spesa sanitaria e Pil più basso insieme alla Grecia. Il trend degli ultimi sei anni va invertito.”
Nei prossimi giorni si insedierà il nuovo Governo a trazione Lega-5 Stelle, il nuovo ruolo dovrebbe far superare la fase propagandistica della campagna elettorale per evitare di sentire ancora contrapporre l’incremento degli stipendi dei lavoratori alla salute dei cittadini, come se i nostri aumenti – e solo i nostri – fossero la causa del disastro della sanità pubblica delle regioni.
Occorre che sia immediatamente istituito un tavolo di concertazione che componga con urgenza il mosaico di un quadro istituzionale e contrattuale che il tempo e le contingenze hanno logorato e frammentato in modo preoccupante e che si tiene ancora insieme grazie alla mai tanto frustrata abnegazione dei dirigenti medici, veterinari e sanitari degli Ospedali e delle Aziende sanitarie pubbliche.
Dott. Aldo Grasselli
Presidente FVM
Federazione Veterinari, Medici e Dirigenti sanitari