Dopo alcune aperture piuttosto vaghe, il Governo ha varato il decreto sul testo unico del pubblico impiego con alcune significative variazioni che recepiscono la protesta di medici e dirigenti.
La questione principale stava nel salario accessorio con un evidente attacco ai fondi negoziali della dirigenza: in pratica veniva messa in discussione la RIA dei cessati che nei prossimi anni avrebbe implementato i fondi aziendali di circa 200 milioni di euro (113 per la sola dirigenza sanitaria). Di fatto era in atto un tentativo di erodere un patrimonio delle categorie mediche e dirigenziali che avrebbe costretto ad aprire un tavolo contrattuale partendo da meno uno, un contratto chiamato di fatto a sancire una paradossale riduzione della massa salariale. Sarebbe stato un colpo mortale alla trattativa negoziale.
La frase adottata è la seguente: “tenendo conto della peculiarità del regime del personale cessato dal servizio in relazione alla retribuzione individuale di anzianità da valutarsi, nell’ambito della normativa vigente, in sede di atto di indirizzo e successiva contrattazione”.
Tener conto non significa necessariamente consolidare in toto, ma non significa neppure ignorare quella che è l’unica risorsa che implementa i fondi, per il resto si rinvia all’atto di indirizzo e alla contrattazione.
In definitiva è stato scongiurato, almeno per il momento, il sequestro di risorse contrattuali vigenti. Il progetto di aggressione alle retribuzioni di medici e dirigenti, manifestato nell’accordo del 30 novembre 2016 tra confederali e governo (teoria della piramide rovesciata o del contratto Robin Hood) è stato stoppato, almeno per ora.
Siamo consapevoli che nulla è consolidato, ma è altrettanto vero che nulla è perduto dopo questo primo tempo. Gli sforzi per far luce sulle conseguenze dello scippo, le manifestazioni, le numerose audizioni parlamentari, gli emendamenti e l’attività mediatica hanno prodotto dei risultati politicamente evidenti.
Di fatto è stato possibile ritornare a trattare con la parte politica dopo che per anni il dialogo si era fermato.
Alcuni altri aspetti positivi del decreto vanno segnalati:
– il riconoscimento dell’area sanitaria (sia pure in alternativa ad un ipotesi di sezione) che allinea alle disposizioni di legge l’accordo sulle aree del luglio 2016.
– Una stretta sul lavoro flessibile illegale con sanzioni per chi vuole continuare a speculare sulla disoccupazione e sottooccupazione giovanile.
– Un discreto ripristino delle prerogative della contrattazione.
– La possibilità di risorse aggiuntive anche per la dirigenza del SSN e della P.A.
– Un attenuazione degli effetti delle valutazioni negative da parte dell’amministrazione.
Ancora insoddisfacente il progetto di stabilizzazione del precariato della dirigenza, salvo la positiva proroga del precariato della ricerca. È urgente prendere atto della gravità e degli effetti devastanti sui servizi pubblici di organici incompleti e precarizzati. Sono oltre 10.000 i dirigenti precari in sanità indispensabili per la tenuta del sistema. Quanto al settore della ricerca merita un approfondimento immediato e provvedimenti urgenti se si vuole impedire il collasso del settore.
Se la politica ritorna ad ascoltare la risoluzione dei problemi reali è possibile, ma lo andremo a verificare nelle prossime settimane.