Vaghe promesse per il futuro e tagli reali da subito; irrisorio il finanziamento dei contratti 2019-2021; assunzioni senza risorse con il contagocce.
A rischio i diritti fondamentali.
Nessun cambiamento, ma un ulteriore peggioramento questo il giudizio della COSMED sulla legge di bilancio per quanto riguarda i servizi e i dipendenti pubblici. La generosità è solo ipotizzata per il futuro.
Emblematico il finanziamento del SSN che viene “confermato” in 114,396 miliardi ovvero nella stessa misura prevista dalla legge di bilancio 2017 poi decurtata.
Si tratta di un incremento rispetto all’ultima cifra disponibile per il 2018 dello 0,88%, che non copre neanche l’incremento dell’inflazione che attualmente per l’anno corrente è del 1,1% (senza considerare che l’inflazione in sanità è ben superiore).
Di fatto in termini reali, al netto dell’inflazione standard, si tratta di un ulteriore taglio delle risorse disponibili.
La tabella allegata della Conferenza delle Regioni riepiloga la telenovela del finanziamento del SSN: già nella legge di bilancio del 2015 si prevedeva un finanziamento di 115,44 miliardi per il 2016 poi la legge di bilancio del 2016 lo ha retrocesso a 111 , la legge di bilancio del 2017 prevedeva rispettivamente per il 2017, 2018, 2019 un fabbisogno di 113, 114, 115 miliardi poi ridotto di 604 milioni. Confermati tutti i tagli dunque.
Il finanziamento del 2009 (104,468 mld) incrementato del tasso di inflazione corrisponderebbe ad un finanziamento per il 2018 di 116,52 mld ovvero oltre 3 miliardi in più di quanto disponibile per l’anno corrente.
Da dieci anni dunque il finanziamento del SSN si riduce in termini reali: mentre si ipotizzano nuovi diritti si riducono i diritti fondamentali esistenti, sempre meno esigibili.
Inoltre anche il miliardo in più rispetto al 2018 già previsto da molti anni, è comunque subordinato ad un intesa Stato- Regioni che dovrà avvenire entro il 31 gennaio 2019. Si presumono riflessi fulminei.
Questa intesa prevede che le Regioni adempiano ad una serie di revisioni e programmazioni e si pretende un “miglioramento della qualità delle cure “ che dovrebbe avvenire con minori risorse reali.
Tra i numerosi requisiti vincolanti per le Regioni non c’è il rinnovo del contratto di lavoro, che per la dirigenza è scaduto da 10 anni, evidentemente non meritevole di sollecitazione, vincolo di bilancio o di accantonamento perentorio.
La trattativa per il triennio 2016-18 è in stallo per quanto riguarda Sanità, Scuola e Funzioni centrali mentre per Le Funzioni Locali non esiste neppure l’atto di indirizzo per iniziare la trattativa stessa.
Il finanziamento dei nuovi LEA appare una chimera mentre i livelli minimi di assistenza sono già largamente disattesi in molte Regioni.
Ma non potevano mancare le promesse: per il 2020 ci saranno 2 miliardi in più e per il 2021 ulteriori 1,5 miliardi in più.
Quanto alle liste d’attesa l’approccio è il seguente : 50 milioni in più per 3 anni per “ l’implementazione e l’ammodernamento delle infrastrutture tecnologiche legate ai sistemi di prenotazione elettronica per l’accesso alle strutture sanitarie”. Il problema delle liste d’attesa non sta nella contabilizzazione dei sempre più lunghi ritardi o nella prenotazione ma nell’effettuazione delle prestazioni.
Ribadite le indicazioni contenute nel PNGLA (Piano Nazionale per il Governo delle Liste d’Attesa) in ogni caso occorrerà: “un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza permanente Stato–Regioni” da adottarsi entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di bilancio.
Con 50 milioni di euro si potrebbero retribuire, contrattualmente e senza ulteriori oneri, 833.000 ore annue di attività aggiuntiva dei medici ovvero più di 1 milione e mezzo di visite specialistiche aggiuntive all’anno, ma questo non è previsto, evidentemente le prestazioni sanitarie sono un problema informatico e contabile. Una sanità 0.0.?
Positiva la previsione di una flat tax al 15% per gli insegnanti che svolgono lezioni private, un giusto riconoscimento della loro libera professione e una regolarizzazione di molte attività in nero, ma perché un simile provvedimento non viene esteso alla libera professione dei medici che oltretutto sono in regime intramurario e corrispondono un robusta quota alle Aziende sanitarie?
Nella miriade di sconti e detassazioni, per i lavoratori autonomi, non è previsto alcuno sconto per il salario accessorio dei dipendenti pubblici e dei medici, come avviene da anni per il privato accentuando la discriminazione fiscale e incentivando con concorrenza sleale le prestazioni del privato rispetto al servizio pubblico. Così si favorisce l’esodo di medici in particolare giovani specialisti verso il privato e si esasperano le penalizzazioni dei medici pubblici.
Sull’edilizia sanitaria si aumenta di 2 miliardi il tetto teorico, comunque subordinato alle “effettive disponibilità di bilancio”, riducendo di 2 miliardi le disponibilità annue fino al 2032, un operazione contabile commovente.
La scelta politica delle priorità, tanto più impegnativa, quanto più con gli stessi saldi di bilancio si deve decidere se proteggere la salute di 60 milioni di cittadini oppure aumentare il benessere individuale di una minoranza di questi. Non sfugge certo che il costo a deficit della cosiddetta “flat tax” per le partite iva fino a 100 mila euro assomma nel triennio 2019 – 2021 a 4 miliardi e 755 milioni di euro, stanti i calcoli illustrati nella relazione tecnica di accompagnamento. Dunque una cifra superiore di oltre 1 miliardo all’incremento del Fondo Sanitario Nazionale nello stesso triennio, che viene ad essere di 3,5 miliardi + 150 milioni per le liste d’attesa.
Sulle risorse per i rinnovi contrattuali 2019-21 la legge di bilancio non indulge nemmeno in promesse a futura memoria finanziando un aumento contrattuale a regime del 1,3% per il 2019 che diventa 1,65% (1,3% +0,35%) nel 2020 e 1,95% (1,65% +0,30%) da cui bisognerebbe detrarre l’indennità di vacanza contrattuale pari allo 0,7%.
Prosegue pertanto il taglio degli stipendi in termini reali che non recuperano il tasso inflattivo.
Se si considerano le retribuzioni medie di 32.600 euro lordi annui nello Stato e di 35.300 euro annui lordi nel sistema delle autonomie (si veda la relazione tecnica) gli aumenti sarebbero i seguenti:
- ad aprile 2019 per effetto dell’indennità di vacanza contrattuale 10,53 euro lordi mensili (Stato) e 11,40 euro lordi annui mensili (non statali)
- a luglio 2019 per effetto dell’incremento dell’indennità di vacanza contrattuale l’aumento precedente viene sostituito (con riassorbimento totale degli emolumenti precedenti) con 17,55 euro lordi mensili (Stato) e 19,01 euro lordi annui mensili (non statali)
- nel 2019 si raggiungerà un aumento di 32,6 euro lordi mensili (Stato) e 35,3 euro lordi annui mensili (non statali)
- nel 2020 si raggiungerà un aumento di 41,38 euro lordi mensili (Stato) e 44,8 euro lordi annui mensili (non statali)
- nel 2021 si raggiungerà un aumento di 48,90 euro lordi mensili (Stato) e 52,95 euro lordi annui mensili (non statali)
Il già scarso aumento per il triennio 2016-19 pari al 3,48% viene ulteriormente ridotto al 1,95% nel triennio 2019-21, il cui aumento massimo mensile lordo non andrà oltre i circa 50 euro lordi mensili e in termini netti circa la metà.
Se si considera che nessun sconto fiscale è previsto per i dipendenti pubblici, nemmeno collegato alla produttività, a differenza del privato e dei lavoratori autonomi, di fatto viene programmato il declino e l’impoverimento dei dipendenti pubblici.
Anche sul fronte occupazionale mancano le risorse per nuove assunzioni e non vi è alcuna garanzia perentoria del rispetto del turnover almeno al 100% dei cessati.
Una dotazione di 130 milioni assicura l’assunzione aggiuntiva di 2885 unità in tutto il comparto Stato.
Misteriosa la quota 100 pensionistica che non compare perlomeno al momento, scarso comunque il finanziamento che potrà sopportare un esito assai limitato.
Sin qui le note dolenti che configurano un quadro che va aldilà delle previsioni più nere un tragico passaggio dal “malus” al “peius” che non da scampo al declino, alla precarietà e alla residualità del servizio sanitario pubblico.
Un timido segnale positivo, largamente inadeguato, è un modesto rifinanziamento delle borse per le scuole di specializzazioni, 22,5 milioni annui che porteranno ad un incremento di circa 900 specialisti all’anno non prima di 5-6 anni, anche la medicina generale avrà un incremento del corso triennale che consentirà la formazione di circa 400 medici di base formati all’anno. Tuttavia questo provvedimento, che è pochissima cosa rispetto ai fabbisogni, è la sola notizia non negativa pervenuta.
Questa manovra deve radicalmente cambiare se non si vuole seppellire la sanità pubblica e i servizi fondamentali: di tombale non c’è solo il condono.