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24 maggio 2018

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Al nuovo governo interessa il Servizio sanitario nazionale?

Categoria: CCNL, Governo e Parlamento, Ministero della salute e SSN

Al nuovo governo interessa il Servizio sanitario nazionale?
Se si, quale politica vuole attuare dopo le premesse generiche del “contratto di Governo”?
E il contratto dei dirigenti medici, veterinari e sanitari?

Nei prossimi giorni si insedierà il nuovo Governo a trazione Lega-5 Stelle,  il nuovo ruolo dovrebbe far superare la fase propagandistica della campagna elettorale per passare dai proclami ai fatti.

Allora è opportuno fare alcune, certamente non esaustive, considerazioni sui problemi della sanità pubblica italiana e del ruolo dei professionisti sui quali si fonda la sua funzione di prevenzione, cura e riabilitazione.

Anche se non esistesse alcun disegno occulto di smantellamento e privatizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, continua a realizzarsi per una ineluttabilità rassegnata e per la mancanza di un piano di innovazione e rilancio, condizionato dalla limitata capacità della politica di guardare a medio-lungo termine. 

Nella consapevolezza che la sanità pubblica rappresenta sia un considerevole capitolo di spesa pubblica da ottimizzare, sia una leva di sviluppo economico da sostenere, occorre dare al sistema una prospettiva di sostenibilità.

Si ipotizza che nel 2025 il fabbisogno del SSN si aggirerà sui € 200 miliardi. In assenza di un programma di governo adeguato, la lenta trasformazione verso un sistema sanitario misto, se non prevalentemente assicurativo surrettiziamente finanziato sempre dalla fiscalità generale ma a beneficio dei privati,  sarà ineludibile, consegnando definitivamente alla storia il nostro tanto declamato sistema di welfare. 

A questo obiettivo involontario darà un forte contributo la mancanza di medici specializzati per la  resistenza dell’Università e del suo ministero a consentire alle Regioni di finanziare e alle Aziende sanitarie e ospedaliere di attivare percorsi di specializzazione al di fuori delle moenia accademiche.

L’attuale situazione anagrafica dei medici e dei professionisti della sanità pubblica dimostra che nel volgere di 5 anni andrà in pensione circa il 40% del personale attivo negli ospedali  e sul territorio.

Una grande esodo che non troverà compensazione e che imporrà la chiusura per asfissia di quegli ospedaletti e servizi tanto strenuamente difesi dai sindaci e dai comitati zonali.  Le Regioni, quindi, saranno “costrette” – nonostante la loro accentuata autonomia – a chiudere con scelte obbligate ciò che politicamente non sono in grado di chiudere con scelte strategiche.

A tutto però c’è un limite, ma senza una volontà politica uniforme e una prospettiva governata il livello di sostenibilità che si realizzerà nei territori potrà essere ancora più diverso di quanto già non sia oggi tra regione e regione.

Il progressivo invecchiamento delle popolazioni, il costo crescente delle innovazioni, in particolare quelle farmacologiche, e il costante aumento della domanda di servizi e prestazioni da parte di cittadini e pazienti, non possono essere affrontati senza una strategia consapevole e non episodica, unitaria nelle linee di azione e regionale nella sensibilità di intervento.

Soprattutto è inimmaginabile un miglioramento delle funzioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione se i medici e i sanitari sono percepiti come un costo e non come un asset strategico.

Per invertire questa tendenza che ha demoralizzato e emarginato dai processi decisionali i medici e i sanitari, occorre che sia immediatamente istituito un tavolo di concertazione Stato-Regioni-Organizzazioni Sindacali di rappresentanza dei medici e dei sanitari  che componga con urgenza il mosaico di un quadro istituzionale e contrattuale che il tempo e le contingenze hanno logorato e frammentato in modo preoccupante e che si tiene ancora insieme grazie alla mai tanto frustrata abnegazione dei dirigenti medici, veterinari e sanitari degli Ospedali e delle Aziende sanitarie pubbliche.

Il primo atto urgente atteso dal nuovo Governo è un segnale di disponibilità a chiudere il contratto della dirigenza medica, veterinaria  e sanitaria. Il contratto di Governo c’è, il contratto del comparto sanità c’è, le convenzioni di medicina generale, pediatria e specialistica ci sono. Manca solo il contratto della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria che deve risolvere non solo questioni di adeguamento economico degli stipendi ma anche, e soprattutto, questioni che dopo nove anni di vacanza contrattuale disseminati di interventi normativi confusivi, di stratificazioni giurisprudenziali, innovazioni organizzative e tecnico scientifiche delle professioni, impone un intervento di revisione normativa che possa mettere in stabilità il sistema dei rapporti di lavoro, dello sviluppo delle carriere gestionali e professionali, del riconoscimento del merito. 

Se mancherà una visione del ruolo strategico del servizio sanitario nazionale e dei suoi fondamentali attori possiamo solo aspettarci un esodo delle migliori professionalità nel mercato privato o all’estero.

Mese dopo mese si sta accumulando un ritardo imperdonabile che colpisce e irrita chi ha ruoli di responsabilità diretta  sulla salute dei pazienti  e garantisce un diritto costituzionale fondamentale. 

A dimostrazione della loro apertura le OO.SS. della dirigenza medica e sanitaria hanno deciso di  proseguire la trattativa per il rinnovo del CCNL 2016-2018 sul piano tecnico in attesa di un accordo politico che però non ha trovati sin qui composizione.

Il Comitato di Settore delle Regioni ha affrontato il tema dei contratti lasciando intendere che ci sono difficoltà a reperire le risorse per riconoscere – anno per anno – gli aumenti stipendiali previsti nell’entità arretrata del 0,36% per il 2016, del 1,09% per il 2017 e del 3,48% per il 2018 che ormai volge alla fine. Sono emerse ipotesi di decorrenza variabile e non si sa se questo significhi aumenti corretti ma postadati o rivalutazioni parziali degli stipendi, ovvero danni a carico dei sanitari del tutto inaccettabili e illegittimi.

Le Regioni sarebbero disponibili a rispettare il CCNL 2010 nella disposizione che inseriva l’indennità dell’esclusività di rapporto nel computo della massa salariale da rivalutare nel contratto 2016-2018, ma resta in dubbio quale sia sul merito la posizione del Governo (quello che si insedierà, non quella dei tecnici del MEF) e nuovamente sulla disponibilità delle risorse necessarie.

Secondo il Conto Annuale del 2016 il valore complessivo dell’indennità di esclusività della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria è di circa 1,28 miliardi, e un aumento del 0,36% per il 2016, del 1,09% per il 2017 e del 3,48% per il 2018 su questo importo (considerato parte del monte salari e quindi soggetto agli aumenti del contratto) varrebbe quindi circa ulteriori 63 milioni di euro che devono essere opportunamente finanziati. Un costo in concreto irrisorio se paragonato al monte salari generale del Ssn, una rivalutazione che però rappresenta un valore simbolico decisivo.

Infatti, l’indennità di esclusività di rapporto era stata introdotta con la riforma del 1999 e col CCNL 2000 per riconoscere un compenso adeguato ai medici e ai sanitari che decidevano di esercitare la loro attività professionale solo per il Ssn, rinunciando quindi alla libera professione in favore della sanità privata. Un beneficio stipendiale che oggi vale la metà di quando fu istituito a compensazione di una rinuncia che rimane totale. E che evidentemente che non può più reggere nel tempo se non rivalutato.

La “non disponibilità” manifestata sino ad oggi dal MEF a considerare l’indennità di esclusività di rapporto nella massa salariale e il non finanziamento delle risorse necessarie è la negazione a circa 130.000 dirigenti di beneficiare dell’incremento previsto dal rinnovo contrattuale in pari misura rispetto al resto del pubblico impiego e deve essere superata da una chiara volontà politica del nuovo governo.

La valenza di questo contratto è molteplice. Potrebbe chiudersi a fine 2018, cioè quando la sua vigenza viene meno. Quindi, dopo tanta vacanza contrattuale, bisogna immaginare che buona parte delle sue clausole regoleranno il lavoro futuro, cioè quello dal 2019 in poi. 

Per questo occorre che il CCNL tratti temi che devono entrare oggi nell’articolato ed avere cogenza nel futuro, come l’allocazione della disponibilità della RIA e, non di meno, le quote riservate alla dirigenza dalla legge di bilancio per il 2018 (legge 205/2017), ovvero le risorse destinate a incrementare i Fondi contrattuali per il trattamento economico accessorio della dirigenza medica, sanitaria e veterinaria dal famoso “emendamento Gelli” (Art. 1 comma 435 pari a: 30 milioni nel 2019, 35 nel 2020, 40 nel 2021) che altrimenti resterebbero inefficaci in un limbo destinato all’oblio.

Dott. Aldo Grasselli
Presidente FVM
Federazione Veterinari, Medici e Dirigenti sanitari

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