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22 novembre 2023

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Lettera aperta del Presidente FVM

La Legge di Bilancio del Governo Meloni aggrava la situazione del SSN e del welfare

Più condoni, meno sanità, meno pensioni

Categoria: Comunicati, DEF e Legge Bilancio

La Legge di Bilancio del Governo Meloni aggrava la situazione del SSN e del welfare

Da venerdì 17, sino a quando il Parlamento sarà chiamato a votarla senza poterla emendare, si susseguono scioperi e manifestazioni per modificare la Legge di bilancio del Governo Meloni.

La Federazione medici, veterinari e dirigenti sanitari del Servizio sanitario nazionale ha incontrato il Governo, rappresentato dal Ministro della salute Schillaci, che non ha potuto dare alcuna risposta soddisfacente sulle carenze della Legge di bilancio, sul trattamento umiliante del personale sanitario cui sono tagliate drasticamente le pensioni, sulle prospettive delle cure per i cittadini espulsi dal diritto di tutela della salute a causa del sotto finanziamento della sanità pubblica. 

Le richieste provenienti dalla società civile e dagli operatori della sanità erano state rimarcate, dopo che ripetutamente erano state espresse da sindacati e Regioni, in un comunicato che aveva sollecitato proposte nette e tangibili ma, evidentemente, il Governo non sa cosa rispondere a 135.000 medici e sanitari, a tutto il personale del SSN e ai cittadini di questa “nazione”.

La incostituzionale e provocatoria norma (art. 33 delle Legge di bilancio) taglia pensioni o è un grave errore o è uno spudorato attacco al lavoro dipendente; parte della maggioranza di Governo ha consigliato di cestinarla ma non ha avuto molto seguito, e nemmeno è chiara la volontà di una soluzione di  garanzia essenziale per gli oltre 700 mila dipendenti pubblici che altrimenti si vedranno sfilare parte dei loro risparmi previdenziali. Altrettanto grave è il taglio delle pensioni dei giovani dipendenti che subiscono una svalutazione ulteriore.

La Legge di bilancio non supera nemmeno gli errori denunciati dalla Corte Costituzionale.

Il Trattamento di fine servizio, a differenza del Trattamento di fine rapporto dei dipendenti privati, non viene pagato al momento dell’andata in pensione dei dipendenti pubblici (quali sono i medici e i sanitari) ma due anni dopo il raggiungimento dell’età massima per la quiescenza, cioè i 67 anni, il che significa che in caso di pensione anticipata l’attesa può arrivare a 7 anni per avere quei soldi (accantonati dal lavoratore) che gli altri pensionati hanno subito a disposizione.

Una disparità di trattamento che la Corte Costituzionale ha già bocciato due volte, chiarendo che non c’è differenza tra Tfr e Tfs perché anche quest’ultimo non è altro che una forma di retribuzione differita. 

Questi due esempi di saccheggio sono ciò che noi lavoratori della Pubblica amministrazione conosciamo come “pizzo di Stato”. 

Ma i temi della vertenza col Governo sono anche altri, meno recenti, e noti a tutti da anni, e questo Governo, che aveva promesso di essere diverso dai precedenti, poteva darne immediata dimostrazione con un provvedimento che abolisca la legge che stabilisce il tetto irrazionale di spesa per l’assunzione di personale nelle aziende sanitarie, unico modo per ridurre le liste d’attesa infinite, e consentire anche l’azzeramento del precariato ancora esorbitante. 

Nel contempo, il Governo avrebbe dovuto legiferare un divieto alle Regioni e alle Aziende sanitarie di rinnovare o attivare nuovi medici gettonisti e prestazioni di cooperative di infermieri e sanitari, mettendo su questa spesa un tetto e facendo migrare le risorse che queste pratiche esose e incontrollate hanno bruciato in questi anni verso assunzioni a tempo determinato e indeterminato dei medici, sanitari e infermieri necessari.

Per gratificare e fidelizzare il personale sanitario, e i sanitari dirigenti in primo luogo, non sono sufficienti elogi e commemorazioni, occorre uscire dalle ambiguità: il Governo deve investire sul personale mediante un incremento della massa salariale attraverso il finanziamento extracontrattuale della specificità medica, veterinaria e sanitaria e dare sicurezza alle pensioni di tutto il personale del SSN.

Le defiscalizzazioni di quote di stipendio (solo promesse) sono fuochi di paglia che non servono a nulla se non a lubrificare, ma solo in presenza di diffusa ingenuità, la campagna elettorale delle prossime elezioni europee.

Le risorse stanziate per il Servizio sanitario nazionale non bastano se davvero si vogliono abbattere le liste di attesa, diversamente significa che si vuole svuotare di efficienza e professionalità il SSN per spostare la domanda di salute alla sanità privata o al “privato convenzionato”.

I 2,3 miliardi di euro previsti per il personale sono destinati a finanziare non solo il contratto della dirigenza medica e sanitari ospedaliera e del mitologico “territorio”, ma anche quello dei medici di medicina generale e degli specialisti ambulatoriali, e anche quelli dell’intero comparto sanità.

Il che rende lo stanziamento di poco superiore a quello del contratto appena concluso, molto al di sotto del valore reale che il mercato europeo riconosce ai professionisti della sanità e persino molto al di sotto del tasso inflativo nazionale.

Non si finanziano i contratti dei sanitari, si tagliano le loro pensioni e se ne riduce la rivalutazione; se non è una miscela esplosiva che sta per deflagrare questa cosa altro deve succedere perché il Governo si accorga di non aver mantenuto le promesse e di aver sbagliato tutto sulla sanità?

Il SSN, per restare pubblico e universale, ha bisogno di interventi strutturali urgenti di tipo organizzativo e finanziario, sia per l’assistenza territoriale sia per quella ospedaliera: sblocco del tetto imposto da anni sulla spesa del personale, piano assunzionale straordinario, stabilizzazione dei precari, riforma della formazione e contratto formazione-lavoro, finanziamento adeguato dei contratti e dell’indennità di specificità professionale, defiscalizzazione del salario accessorio, corresponsione TFS come il TFR con assegno unico e non a rate ritardate, nonché abolizione di tutte le penalizzazioni pensionistiche previste dalla Manovra.

Tutte le Organizzazioni Sindacali della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria e del comparto hanno proclamato lo stato di agitazione, una prima tornata di scioperi si abbatterà sulla sanità il 17 novembre, seguiranno altre manifestazioni e gli scioperi culmineranno il 18 dicembre con la mobilitazione di tutti i professionisti delle diverse categorie e specialità.

Auspichiamo di trovare risposte nelle prossime settimane perché stiamo registrando un vertiginoso aumento della tensione sui luoghi di lavoro che non porteranno ad altro che a nuove e più articolate forme di protesta e di durevole mobilitazione contro la Legge di bilancio che questo Governo, come detto, non vuole far emendare dal Parlamento.

Nessun altro se non il Governo Meloni, quindi, avrà responsabilità più pesanti nei confronti delle nostre categorie, a meno che con un suo maxiemendamento non riesca a rimediare al danno, recuperare credibilità e dare soddisfazione alle richieste dei sanitari italiani che hanno il compito di inverare, nel rispetto dei principi di universalità, di uguaglianza e di equità, l’attuazione dell’articolo 32 della Costituzione.

Siamo sempre stati restii a proclamare uno sciopero nazionale perché, diversamente da altri scioperi, quello della sanità incide direttamente sulla risposta alla domanda di cura dei cittadini che è già da troppo tempo gravemente carente e che rischia di essere aggravata, da una legge di bilancio che premia gli evasori e distrugge il SSN e con esso il diritto alla cura e alla tutela della salute.

Arrivati a questo punto, davanti a questo precipizio, chiamiamo tutte le forze politiche e sindacali a prendere posizione con noi che il 18 dicembre siamo costretti a fermare la sanità per 24 ore per non vederla fermata per sempre.

Il Presidente di Federazione Veterinari, Medici e Dirigenti Sanitari

Dott. Aldo Grasselli